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Trent’anni dalla strage di via D’Amelio: l’Italia ricorda il magistrato Paolo Borsellino

Paolo Borsellino è stato uno dei magistrati più importanti del pool antimafia, un simbolo della lotta a Cosa Nostra, che ha combattuto per anni prima di essere ucciso Insieme all’amico e collega Giovanni Falcone, anch’egli ucciso dalla mafia pochi mesi prima, è considerato una delle figure di spicco della guerra alla criminalità organizzata in Sicilia.

A 30 anni dall’omicidio, processi, depistaggi, inchieste non hanno fatto piena luce su tutti i livelli di coinvolgimento nella strage. Nato a Palermo nel 1940, dopo la laurea in Giurisprudenza, entrò in magistratura nel 1963 (all’epoca fu il più giovane magistrato d’Italia). Dopo vari incarichi, nel 1975 venne trasferito all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Strinse un rapporto molto stretto con il suo superiore Rocco Chinnici che, prima di essere ucciso nel 1983, istituì il cosiddetto “pool antimafia”: un gruppo di giudici istruttori che, lavorando in gruppo, si sarebbero occupati solo dei reati di stampo mafioso.

Borsellino fu confermato nel pool anche dal successore di Chinnici, Antonino Caponnetto. A metà anni ’80 Falcone e Borsellino istituirono il maxi-processo di Palermo basato sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Per ragioni di sicurezza trascorsero anche un periodo all’Asinara. Lo storico procedimento nell’aula bunker dell’Ucciardone portò nel 1987 a 342 condanne.

Borsellino intanto chiese e ottenne di essere nominato procuratore a Marsala e il pool fu sciolto. Già nel 1991, si scoprì in seguito, la mafia aveva iniziato a progettare l’omicidio di Borsellino che intanto tornò a Palermo come procuratore aggiunto. Il 23 maggio 1992 a Capaci, Falcone venne ucciso insieme alla moglie e a tre agenti della scorta. Borsellino denunciò l’isolamento dei giudici nelle ultime interviste, dichiarandosi “un condannato a morte”.

Il 19 luglio 1992 il giudice andò a trovare la madre in via D’Amelio e al suo arrivo un’auto parcheggiata imbottita di tritolo esplose uccidendolo. A morire insieme al magistrato anche i cinque agenti della sua scorta.

Sulle celebrazioni di oggi pesa però la recente sentenza del processo a Caltanissetta sul cosiddetto depistaggio(prescrizione per due poliziotti e assoluzione per il terzo) che ha creato amarezza tra i familiari delle vittime. «Avremmo voluto celebrare il trentesimo anniversario con una vittoria sulla mafia e quindi con la scoperta della verità, purtroppo sarà anche quest’anno solo un appuntamento rimandato», dice Salvatore Borsellino, fratello del magistrato.

«Sono stati celebrati numerosi processi ma ancora attendiamo di conoscere tutti i nomi di coloro che hanno voluto le stragi del ’92-’93. Abbiamo chiaro che mani diverse hanno concorso con quelle di Cosa Nostra per commettere questi crimini ma chi conosce queste relazioni occulte resta vincolato al ricatto del silenzio», prosegue Salvatore Borsellino. «Ora chiediamo noi il silenzio – avverte -. Silenzio alle passerelle. Silenzio alla politica. Perché invece di fare tesoro di ciò che in questi trent’anni è successo, ci accorgiamo che la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma politico».

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