Napoli, 8 Maggio – Dev’essere una specie di epidemia, quella che si sta diffondendo sui social, da un po’ di tempo e che consiste da parte di molti utenti in una sfrontata quanto patetica esibizione degli insulti. Premesso che nessuna persona sana di mente risponderebbe alle loro provocazioni, una domanda di primo acchito risulta spontanea: ma davvero questi credono che insultando in pubblica piazza qualcuno gli renderebbe la gloria che non hanno? Quasi ogni giorno, qualche sconosciuto arriva sotto un mio articolo o post, e comincia a scrivere commento inopportuni.
Gente sconosciuta che si trova in casa tua, senza invito, per il semplice gusto di insultarti. Gli stessi che per strada, sapendo di non poter sfiorare una donna neppure con lo sguardo, dissacrano la Madonna all’altare, ingiuriandola con oltraggi verbali, sporcando un terreno che non sarà mai di loro competenza. Un fenomeno in crescita, che colpisce per la maggiore noi giornaliste. Perché c’è questa malattia di gente piccola, che una donna non può essere intelligente se è di aspetto gradevole.
Questa mentalità troglodita e scorretta che qualifica esclusivamente chi la possiede. Ma una denuncia seria va fatta. Tempo fa, la collega Annalisa Chirico condannò seriamente questi leoni da tastiera, invitando a denunciarli. Lo stesso le on. Mariaelena Boschi e Laura Boldrini. Vediamo di essere chiari, una volta per tutte. Il mondo, anche se virtuale, è il mondo. Affollato di gente che viene e va, di personaggi che a volte si rischia di incontrare davvero. Tutto è sospeso alla sorprendente magia delle affinità, il vero collante tra persone che amano distinguersi fra loro o acchiapparsi, proprio per la suddetta ragione.
Allora perché diavolo gente che usa i social per lavoro (o per svago) deve continuamente ricevere ingiurie da nomi e cognomi che non sa neppure esistessero tra il numero esponenziale di followers alla porta? Secondo questi signori un politico o un giornalista apre la porta di casa a testimoni di Geova, venditori di riviste di quartiere, disagiati sociali, passando il tempo ad ascoltare ciò che hanno da vendere? E a che pro? Per non parlare di quei keyboard che ci prendono talmente gusto da non valutare l’ipotesi che la diffamazione è reato e loro vengono colti in flagrante.
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Giornalista pubblicista. Nata a Nola. Si è laureata alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale.
Le sue passioni sono la politica, la buona tavola, il mare e la moda.
Accanita lettrice, fervente cattolica e tifosa del Milan.
