Comuni

SOGNARE LA LIBERTÀ

Incontro con la dott.ssa Maria Vittoria Pichi nell’ambito della rassegna “Ritratti – Marzo Donna” con il patrocinio del Comune di Casavatore

Prima di articolare ogni riflessione, mi preme render manifesta la mia gratitudine nei confronti dell’Amministrazione Comunale di Casavatore e dell’Associazione “Clarae Musae” per aver deciso di coinvolgermi ancora una volta a giocare un ruolo attivo nell’ambito di un’iniziativa sociale.

“Dalla sua cella lui

vedeva solo il mare”

Casavatore, 16 Marzo – Questi versi strappalacrime, frutto della genialità di Lucio Dalla, si prestano a molteplici interpretazioni, oltre a potersi adattare ad un’amplissima serie di contesti.

La dott.ssa Maria Vittoria Pichi, con la quale ho il privilegio di poter interloquire quest’oggi, ha visto chiudersi di colpo i battenti di una cella del circondario Veneziano della Giudecca, in virtù della custodia cautelare disposta nei suoi confronti dal GIP: difatti, la sua affinità di opinioni con la sinistra dell’epoca aveva indotto la Polizia Giudiziaria, coordinata dalla Magistratura requirente, a prodigarsi – come si legge nel sito web del Comune di Jesi – per arrivare “in tempi rapidi” ai colpevoli del rapimento del generale Statunitense James Lee Dozier, messo in atto dalle Brigate Rosse.

Di punto in bianco, m’è balzata nella mente la trama de “Il Conte di Montecristo“, celebre romanzo di Alexandre Dumas senior, segnatamente la vicenda narrata nei capitoli iniziali, ove il protagonista, Edmond Dantès, inviso ad alcune personalità di spicco attive nella Marsiglia del 1815 (anno della Restaurazione Borbonica), viene ingiustamente accusato di essere rimasto fedele a Napoleone – dunque, di essere “bonapartista” – e rinchiuso, per ordine del Regio Procuratore Villefort (senza esser sottoposto, si badi, ad alcun procedimento) nella fortezza di If, situata su un isolotto, permanendovi per ben quattordici anni, fino alla ben nota fuga in mare.

Capita abbastanza di frequente che un soggetto estraneo a determinati fatti si ritrovi improvvisamente in cella a causa di un errore giudiziario e/o per le esigenze di celerità cennate in apertura; la Repubblica Italiana, tuttavia, è uno stato sociale di diritto, di talché ritengo assurdo che, nonostante le previsioni del Costituente e dei trattati internazionali, sia ancora possibile una cosa del genere.

Sebbene l’ordinamento vigente appresti un’ampia serie di tutele in caso d’ingiusta detenzione, diversi individui si vedon privare della propria libertà e, al tempo stesso, negare quella dignità che andrebbe loro riconosciuta in virtù dell’appartenenza alla specie umana.

Come si suol dire comunemente, “va’ a dimostrare di aver patito un danno!“: ciò sta a significare che gli oneri probatori cui è d’uopo assolvere per far valere i propri diritti son talmente gravosi da costringere gli interessati ad una dura lotta destinata a terminare a distanza di un decennio.

Nonostante tutto, però, la dott.ssa Pichi non s’è mai lasciata sopraffare dalle angosce, dimostrando un coraggio a dir poco ardimentoso: pur essendo stata ridotta a pezza da piedi da uno Stato de facto assente, quindi costretta a vivere un autentico calvario, ha dato chiara testimonianza di sapersi battere per il riconoscimento di quei diritti che, ohi noi, vengono sovente garantiti soltanto a parole.

Cari Giovani, sognare la libertà – e qui mi riallaccio nuovamente a Lucio Dalla -, vuol dire…non cader mai in preda all’avvilimento, specie allorquando si ha a disposizione quell’arma letale rappresentata dal diritto.

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