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Scrivere senza pensare, la figura del Medico di Famiglia e l’annosa questione delle liste d’attesa

Napoli, 17 Giugno – La Napoli d’oggi vede gli ambulatori dei Medici di Famiglia pullulare di pazienti in attesa: subito balza ictu oculi nella mente di chi scrive il divertentissimo film di Alberto Sordi, dal titolo “Il medico della mutua”, ove il protagonista, interpretato per l’appunto dal geniale attore romano, esultava dalla gioia dopo aver constatato che il numero dei propri assistiti era cresciuto inesorabilmente, dal momento che…l’entità della grana è direttamente proporzionale, per l’appunto, all’ammontare dei mutuati.

In questi giorni si sta dibattendo animatamente sull’annosa questione relativa alle liste d’attesa ed alla linea politica che il Governo in carica è intenzionato a seguire per ridurle: sul punto, benvero, c’è da osservare che l’ingolfamento delle anzidette liste va di pari passo con la burocratizzazione della medicina di base, dal momento che i sanitari “di quartiere”, lungi dal sapere…”vita, morte e miracoli” dei propri assistiti (che spesso non conoscono di persona), si limitano sovente a scribacchiare ricette e – dato ancor più preoccupante – a prescrivere esami diagnostici senza prima essersi resi conto delle effettive condizioni dei malcapitati.

In altri termini, il disagio principale è da identificarsi in un atteggiamento inerte in capo a diversi Medici di Famiglia, i quali non si rendono conto che l’essere umano, purtroppo, ben può essere paragonato ad un’autovettura di uso comune: egli, cioè, ha bisogno di essere approfonditamente visitato – se necessario anche presso la propria abitazione -, poiché la medicina, non essendo una scienza esatta, deve tener conto di diversi fattori per poter essere praticata a regola d’arte.

In termini pratici, il professionista sanitario non può basarsi solo sulla sintomatologia, né tantomeno limitarsi a consultare i quadri clinici del paziente (diabetico, oncologico, prende queste pillole, assume tali supposte, e via dicendo), ma, al contrario, è tenuto a valutare tutti i fattori necessari a comprendere la reale portata di quanto questi effettivamente si duole.

La prevenzione, oramai, non si sa più dove dimori: si moltiplicano, infatti, le diagnosi avventate…con tanto di terapie farmacologiche annesse, le quali, se frutto di un errore marchiano, possono finanche portare lo sventurato paziente al decesso in poche mosse e, di conseguenza, vengono instaurate una marea di liti innanzi ai vari Tribunali (che, per deciderle, impiegano un’eternità: che scandalo!).

Non si trascuri, poi, che parecchi presìdi ospedalieri – in particolar modo al Sud – stanno chiudendo i battenti, la qual cosa manda velocemente in tilt le strutture ancora attive (e spesso ubicate a diversi chilometri di distanza da quelle dismesse): orbene, le Regioni prendano in seria considerazione la possibilità di adibire gli ex-nosocomi a strutture ambulatoriali di supporto, facendo sì che i vari Medici di Base attivi nei loro territori si pongano a disposizione della Cittadinanza durante la settimana ed adempiano, finalmente, al dovere sacrosanto di approfondire quanto i loro assistiti lamentano, indicando loro la strada da seguire per riacquistare la salute.

Si rammenti che i Sanitari della mutua percepiscono uno stipendio statale e, parallelamente, hanno prestato il Giuramento d’Ippocrate: quest’ultimo viene sovente disatteso da costoro, ai quali, in fondo, conviene condurre una vita da piccoli scrivani improvvisati.

C’è, poi, da rammentare a chi ci legge…che tanto una norma in vigore dal 1998 quanto la Legge di Bilancio 2019 (oltre al Decreto Legge 7 giugno 2024, n. 73, da ultimo varato) prevedono espressamente che tanto la diagnosi quanto le cure debbono soddisfare il requisito fondamentale della tempestività: pertanto, è ivi espressamente statuito che una visita va fissata nel termine di trenta giorni dalla richiesta, mentre per un esame diagnostico non bisogna eccedere i sessanta; purtuttavia, chi scrive reputa necessario dimezzare i tempi, anche per far sì che le terapie inizino almeno un mese dopo la diagnosi dello stato morboso.

Aggiungasi, poi, che, laddove non sia possibile l’effettuazione delle visite e degli esami in parola presso le strutture pubbliche, il paziente avrà diritto a ricevere assistenza presso cliniche private od in regime intramurario pagando solo il ticket, oppure, se esente, a costo zero!

Per evitare questi tempi biblici, sarebbe d’uopo che i Medici di Base dessero il proprio contributo, dialogando costantemente con ASL ed altre strutture!

Un altro nodo gordiano da sciogliere è rappresentato dall’attività intramuraria svolta dai Medici alle dipendenze del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) operanti in seno alle strutture pubbliche: ebbene, cosa dispone la Legge a tal riguardo?

Un medico in intramoenia può visitare i pazienti nel proprio studio privato o in quello di un collega? Le linee guida sulla questione non sono particolarmente complesse: la Cassazione ha, invero, definito i confini oltre i quali un siffatto comportamento può integrare addirittura un reato, quello di peculato (Art. 314 cp). Esso si sostanzia nell’appropriazione, da parte del pubblico ufficiale, di cose di cui ha la disponibilità in virtù del proprio ufficio (nel caso del Medico in intramoenia, la somma corrisposta dal paziente, quando invece una parte dovrebbe andare alla struttura ospedaliera).

Ma, in tutto questo, cosa significa “intra moenia”? L’attività intramoenia è quella svolta dal medico all’interno dell’ospedale o della struttura sanitaria pubblica in cui presta servizio, oltre l’orario di lavoro istituzionale, percependo un compenso direttamente dal paziente. In altri termini, trattasi di un’attività libero-professionale esercitata da un medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale all’interno di una struttura pubblica (“intra moenia” si traduce, per l’appunto, “all’interno delle mura”).

Ebbene, quali sono i casi in cui un medico in intramoenia può visitare (non nella struttura pubblica cui afferisce, ma) in uno studio privato?

La risposta è contenuta in un rilevante arresto della Suprema Corte, segnatamente la sentenza n. 19129/2023 resa dalla Seconda Sezione Penale, attraverso cui s’è statuito che un medico può visitare in uno studio privato solo se è a ciò autorizzato dalla struttura cui fa capo. Egli dovrà, altresì, riversare alla ASL di appartenenza la percentuale dovuta sugli importi corrisposti dai pazienti. Ci si chiede, a questo punto, se sia lecito eseguire l’attività intramuraria “allargata” (ALPI).

Sul punto, il Tribunale di Taranto, con la sentenza n. 807/2021, ha stabilito che l’attività in intramoenia essere svolta all’interno della struttura sanitaria del medico, ma solo per prestazioni erogabili dal SSN. Non si ravvisano gli elementi costitutivi del reato di truffa se il medico effettua visite nel proprio studio privato, purché abbia trasmesso alla ASL di riferimento una richiesta di autorizzazione e abbia dichiarato, contestualmente, la prosecuzione delle visite al di fuori della struttura di appartenenza.

Resta ora da comprendere la natura e l’entità delle sanzioni comminate dalla Legge nei riguardi del Medico che non si attiene alle regole sin qui illustrate?

Innanzitutto, potrà essere accusato di reato di truffa, oppure di peculato, come avvenuto nel caso di un cardiologo condannato dalla Cassazione con sentenza n. 25976/2018: costui, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, aveva svolto attività intramuraria senza richiedere la specifica autorizzazione e senza versare alla struttura la quota dovuta.

Esemplificando: un medico autorizzato all’attività intramoenia può effettuare visite in uno studio privato solo laddove abbia ottenuto un’autorizzazione ad hoc dalla struttura ove opera e salvo versamento alla stessa della quota del corrispettivo pagato dal paziente. Non rispettare queste regole può comportare pesanti conseguenze legali.

Chi scrive nutre, beninteso, profondo rispetto verso tutte le tipologie di professione e coloro che le esercitano; purtuttavia, si tende sistematicamente a trascurare che la salute è un diritto contemplato dalla Carta Fondamentale (Art. 32 Cost.), di talché non si può assolutamente restare indifferenti di fronte ad una prassi potenzialmente deleteria per diversi Cittadini.

Si fa presto a formulare promesse (spesso…marinaresche) in merito ad un potenziale taglio delle liste d’attesa, illudendo la platea degli elettori; al contrario, sarebbe d’uopo tenere conto di quanto sinora illustrato: così facendo, s’eviterebbe non solo la triste fine di parecchi consociati, ma anche l’ingolfamento dei Ruoli dei vari Uffici Giudiziari, ove – nonostante l’istituzione dell’Ufficio del Processo – gli arretrati non si riescono a smaltire minimamente.

Occorre, in sintesi, che i Sanitari prestino maggior attenzione al paziente, segnatamente alla portata del malore o del disturbo che questi accusa in un determinato momento e, contestualmente, che i Presidenti dei Tribunali (unitamente ai Coordinatori degli Uffici del Giudice di Pace) vigilino con attenzione certosina in merito al regolare (e “pulito”) svolgimento dei processi, evitando che si tengano condotte suscettibili di mettere a serio repentaglio il funzionamento della macchina giudiziaria (ad esempio, nomina di CTU senza le competenze necessarie, ovvero in condizioni d’incompatibilità, esame maldestro dei mezzi istruttori, e via discorrendo).

La fame di consensi, com’è noto, offusca la vista del politico di turno, inducendolo quasi sempre ad infischiarsi dei bisogni della collettività (dicasi lo stesso per il sanitario, spesso attratto da “Mammona”): s’invitano, pertanto, i Lettori della testata ad aprire gli occhi e a far sentire la propria voce, rivolgendosi, se del caso, a professionisti legali qualificati: il giusto processo e la salute sono diritti garantiti non solo dalla Costituzione, bensì anche dal diritto internazionale ed eurounitario, ragion per cui nessuno può né deve permettersi di calpestarli!

Riccardo Vizzino  (avvocato cassazionista) 

Adriano J. Spagnuolo Vigorita (giurista e saggista)

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