Napoli, 27 Gennaio – Nel 1983 Ronald Reagan sedeva alla Casa Bianca, il presidente dell’URSS era Jury Andropov e il Festival di Sanremo veniva vinto con Sarà quel che sarà da Tiziana Rivale. In quell’anno, 39 anni fa, faceva il suo primo ingresso in Parlamento Pier Ferdinando Casini. Il papabile, il candidato cui tutti accennano, che tutti sussurrano ma che nessuno, finora, vota.
Da quando si è cominciato a discutere di Quirinale, cioè praticamente da mesi, sfogliando più o meno plausibili rose di nomi, quello dell’ex presidente della Camera, oggi senatore, è tra i favoriti. E, come si sa, proprio per questo, alla fine, potrebbe essere affossato o tirato in ballo all’ultimo momento e tagliare il traguardo. Lui, da accorto conoscitore dei meccanismi della politica, negli ultimi tempi è diventato particolarmente silente (anche a causa di una doppia infezione da Covid). Unica eccezione, forse per scaramanzia, forse per incontenibili impulsi, la foto pubblicata su Instagram ieri mattina, dove lo si vede (giovanissimo, in bianco e nero) ricordare che “la passione politica è la mia vita”.
Nato a Bologna il 3 dicembre 1955 da un docente di lettere e una bibliotecaria, viene da una lunga militanza nella Dc, corrente dorotea, poi confluito nel “clan” di Arnaldo Forlani, grazie al quale nel 1989 entra in Direzione nazionale. Tra divertite ricostruzioni sul suo pedigree politico (“Forlani ha due allievi, Casini e Follini. Uno è bello, l’altro intelligente”) e altrettanto accurati elogi alla sua capacità di mediare, trattare, fare accordi, stando sempre al centro senza sbandare mai, “Pier” ha attraversato indenne la Prima, la Seconda e ora la Terza Repubblica, pronto – dopo anni di paziente attesa – al “grande salto”, il coronamento di una carriera formidabile. Intanto, si sposa (e divorzia) due volte, diventa padre di Benedetta e Maria Carolina (da Roberta Lubitch) e di Caterina e Francesco (da Azzurra Caltagirone).
Nel 1994, d’accordo con l’amico di una vita Clemente Mastella, portò il Centro cristiano democratico tra le braccia di Silvio Berlusconi, poi all’opposizione di Prodi nel primo governo del Professore. Fino al premio della presidenza della Camera, nel 2001, che gestì per cinque anni con equilibrio e imparzialità, senza litigare con nessuno (in politica, la memoria è corta ma avere degli amici anche tra gli avversari, a lungo andare, paga). Durante la sua presidenza, accolse Giovanni Paolo II in visita al Parlamento italiano nella storica visita del 14 novembre 2002.
L’idillio col Cavaliere termina con le elezioni politiche del 2008, quando Casini esce dal Polo delle Libertà (e dall’area di governo). Dopo la caduta di Berlusconi, appoggia convintamente il governo “salva-crack” di Mario Monti e, da allora, tutti gli esecutivi che si sono succeduti dal 2013: quello di Enrico Letta (che potrebbe ricordarsi di quell’antico sostegno), quello di Matteo Renzi (il suo principale sponsor attuale), quello di Paolo Gentiloni. Nel 2018, alle ultime elezioni, viene eletto nelle liste del Partito democratico nella sua Bologna, a coronamento di un lungo percorso parlamentare che abbraccia quasi tutto l’arco costituzionale: da destra a sinistra si passa sempre per il centro.
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