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Attualita'

Psichiatria, una riflessione a 45 anni dalla legge 180

La Salute Mentale non è una questione ideoogica. E la legge Basaglia è in realtà quella di Orsini

Napoli, 13 Maggio – La tragica morte della psichiatra Barbara Capovani ha giustamente suscitato molta emozione, cordoglio e rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere fatto e non è stato fatto, ma ha anche portato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e della classe politica, riguardo ai problemi della salute mentale in Italia. Un’attenzione che deve essere il più possibile partecipata in quanto la mission della Psichiatria non può autodefinirsi, ed è quindi giusto che i professionisti si aprano al confronto con amministratori, le forze sociali, le associazioni dei pazienti ed i tribunali che quotidianamente si interfacciano con i servizi nella presa in carico dei nostri assistiti.

Franco Basaglia, indiscusso leader della Psichiatria italiana degli ultimi decenni, chiedeva ai politici e agli amministratori “che cos’è la psichiatria” perché dietro quell’interrogativo c’era la richiesta di una visione scientifica ma condivisa con le parti sociali di quello che avrebbe dovuto essere la Psichiatria in Italia. La legge 180 non può e non deve essere oggetto di contesa politica ed ideologica. Inoltre non è la legge Basaglia ma la legge di un gruppo con relatore Bruno Orsini, politico democristiano medico e sottosegretario, che con un lavoro di abile ed intelligente mediazione tra posizioni estreme tra Lombroso e Psichiatria Democratica, portò all’approvazione di tutti i partiti una legge che ridiede diritti e dignità ai pazienti e permise una chiusura progressiva e ventennale dei manicomi, chiusura terminata dall’allora ministro Rosi Bindi.

Basaglia, contrario all’inizio, la riconobbe in seguito come la “ migliore legge possibile” ed è diventata impropriamente la sua legge. L’attuale scenario epidemiologico è completamente diverso da quello di 50 anni fa. Emergono con forza bisogni di cura legati all’adolescenza e all’ingresso nella vita adulta, con l’emergenza di manifestazioni psicopatologiche di tipo comportamentale inerenti la sfera della regolazione delle emozioni. Appartengono a questa vera e propria ondata, aggravata dalla pandemia, i tentativi di suicidio, l’autolesionismo, i disturbi del comportamento alimentare, i disturbi borderline. La comorbidità con l’abuso di sostanze ha modificato il decorso anche delle patologie “tradizionali”, come le psicosi schizofreniche, Il disturbo bipolare la depressione, ma ha anche generato sindromi inedite che non trovano corrispettivo nella psicopatologia classica, come le psicosi da nuove sostanze psicoattive. A questi si sono aggiunti i bisogni delle persone affette da disturbi psichici non risolti che hanno generato situazioni di parziale o totale esclusione sociale e fragilità esistenziali che si riflettono anche sul piano biologico prospettando una ingiusta ridotta attesa di vita rispetto al resto della popolazione.

E poi non ultima e drammaticamente presente la questione degli autori di reato affetti da una qualche forma di psicopatologia. Questi problemi e altri esigono soluzioni pratiche che non possono che derivare da una visione partecipata. Serve un confronto aperto sulla Salute Mentale e ben venga il tavolo che il ministero ha deciso di aprire e ulteriori tavoli tematici aperti ad altri contributi devono vedere la partecipazione di coloro che si confrontano realmente con la realtà quotidiana di organizzazione della salute mentale sempre più in difficoltà.

Da evitare, come già ribadito, il rischio della ideologizzazione e della contrapposizione tra supposti schieramenti avversi. Non c’è più una Psichiatria di sinistra ed una Psichiatria di destra, la prima ispirata da Basaglia la seconda più favorevole ai metodi coercitivi; se il dibattito imboccasse questa strada andrebbe incontro certamente ad un fallimento e ancora una volta dovremmo dire che si è persa una occasione storica. I presupposti, errati, di questa contrapposizione fa riferimento al fatto che la legge Basaglia sostanzialmente non è mai esistita come tale.

Franco Basaglia, è noto, non condivideva quel testo e non lo approvava, considerandolo una mediazione, perché non avrebbe voluto l’istituzione dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura (i reparti ospedalieri) né i trattamenti sanitari obbligatori. Ma la riforma, che chiameremo più appropriatamente Orsini, ha preso corpo nella 833, la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, che ha finalmente portato la Psichiatria nell’alveo della medicina e

della sanità pubblica. Chi è contrario all’attuale organizzazione dei servizi territoriali, fondata sulla volontarietà delle cure e il principio di autodeterminazione, dovrebbe pertanto scagliarsi contro la legge fondativa del nostro SSN e contro gli articoli specifici che altri Paesi ci invidiano.

La questione della violenza nelle sindromi psichiatriche deve essere trattata con equilibrio e sulla base di dati di fatto e di conoscenza. Il primo più rilevante, purtroppo dai più ignorato, è che le persone affette da disturbi psichici sono più spesso vittima di reati che non autori di reati. La letteratura suggerisce che i reati subiti dai pazienti psichiatrici sono quattro volte più numerosi quelli da loro commessi. Inoltre, e questo è un tema di grandissima attualità, parte significativa di quei reati che nel nostro ordinamento giuridico, creano il presupposto della non imputabilità, parziale o totale, sono stati commessi da persone alle quali è stato al più riconosciuto una diagnosi di “disturbo antisociale di personalità”.

NO DISTURBATI MA CRIMINALI

Sarebbe ora dunque di disconoscere questa sindrome come psichiatrica e di restituirle il suo contenuto più appropriato di specifico profilo criminale per il quale non sussistono presidi medici idonei né di tipo farmacologico e né di tipo psicoterapeutico. Scontiamo su questo argomento la riproduzione acritica della nosografia statunitense. In quel Paese però il contesto legislativo, molto diversamente dal nostro, affida la custodia degli autori di reato con disturbi psichici, compreso quello antisociale, ad istituzioni speciali come gli ospedali psichiatrici forensi ove le decisioni sono affidate ad un giudice, lo psichiatra svolge ruolo di consulente, e il percorso di cura, una volta terminato il periodo di internamento è gestito in piena collaborazione con le forze dell ’ordine che svolgo un ruolo di controllo effettivo sul monitoraggio del rispetto delle prescrizioni terapeutiche.

Apriamo dunque questa discussione sulla Salute Mentale in Italia lontano dei rischi dell’ideologia che già in passato ha prodotto colpevoli ritardi nell’affrontare situazioni diverse ma con alcuni punti di contatto con quelle attuali. Si pensi ad esempio all’estenuante quanto provinciale dibattito che il nostro paese ha dovuto subire sulla questione della riduzione del danno nell’ambito delle dipendenze patologiche. In quel caso, a dispetto delle evidenze scientifiche e pratiche provenienti da paesi dell’Europa del nord, il ritardo dell’introduzione delle terapie sostitutive ha prodotto danni alla salute e morti evitabili, mentre si svolgeva il teatrino della contrapposizione tra le comunità terapeutiche e i servizi per le dipendenze.

Francamente non vorremmo vedere nulla di simile nel confronto sugli attuali scottanti problemi della salute Mentale. Teniamo lontana l’ideologia sposando una visione pragmatica per dare risposte chiare ai bisogni di salute delle persone in carico ai servizi e strumenti efficaci ai Professionisti che chiedono giustamente di non dover più morire, né subire aggressioni e soprattutto diamo definitivamente alla salute mentale le risorse necessarie in termini di finanziamenti e persone, ricordando che da storici accordi il finanziamento per la salute mentale dovrebbe allinearsi omogeneamente al 5% di quello regionale, ma oggi si attesta a malapena su una media del 3% con grandi differenze tra le regioni. Se il fiume ha una bassa quantità di acqua, la soluzione non è deviarne il corso ma aumentarne la portata.

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