Napoli, 6 Marzo – Nell’ambiente artistico spesso la donna è rappresentata in modo angelico. Gli unici a non rappresentare i due generi sono gli angeli, come quelli armati del Guariento, grande pittore veneto in generale e padovano in particolare. Tali angeli erano esposti sia nella mia sede di servizio in centro di Padova ITCS “P F. Calvi” che nel museo civico patavino. Ciò che raccapriccia un po’ del quadro del Guariento sono i piedi con artigli da serpenti, quasi uguali ai velociraptor, che appena fuoriescono dalle belle tuniche. Da 100 anni si festeggia l’8 marzo per ricordare l’emancipazione femminile, soprattutto sul lavoro più che le donne come tali cioè di persone diverse dal genere maschile. C’è da chiedersi se oltre le quote rosa, noi maschi siamo disposti a cedere un po’ del potere maschile fino al 50% oppure fermarci prima per timore che il “sesso debole” prenda il sopravvento e non resti sottovento come molti o pochi preferiscono ancora? La Giornata internazionale dei diritti della donna dell’8 marzo di ogni anno ricorda sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto e non solo in ambienti del Sud del mondo. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, negli USA, avviene dal 1909. In Italia viene chiamata Festa della donna anche se sarebbe più corretto Giornata internazionale della donna, poiché la motivazione non è la festa ma la riflessione. Dall’Onu parte l’invito a operare affinché nel mondo si possa raggiungere una effettiva parità di genere entro il 2030. Gli equilibri tra i generi (anche tra i politici, tra chi dirige e che si lascia dirigere) sono sempre instabili. A volte qualcuno/a invoca, e non solo per scherzare, la repubblica delle amazzoni per rifarsi al mito di sole donne autosufficienti. Non mancano alcune donne, anche dirigenti di rilievo in ambienti lavorativi, che si fanno la fecondazione artificiale ed hanno figli senza conoscere affatto (magari hanno solo la scheda biologica con i caratteri somatici e pochi altri) il marito ed il padre dei figli. Chissà se in futuro tale percentuale passera a due cifre? Potrebbe essere, perché no? Anzi si potrebbe anche verificare l’esatto opposto di padri senza mogli e per scelta non per abbandono del coniuge come spesso avviene oggi con femminicidio ricorrente. Giorni fa il mio simpatico dentista patavino mi ha spedito, per ridere, in Whatsapp il terzo principio della fisica applicato ai due generi della specie Homo sapiens. Nel breve filmato vi era rappresentato bene la moglie che commentava il buon pranzo rivolgendosi al marito con la frase: ”attento a non ingrassare”. Viceversa, il marito, che con garbata ironia verso la moglie commentava il buon pranzo con la medesima frase. Tale identica frase non veniva affatto gradita dalla consorte con rimproveri “feroci” che duravano oltre il tempo del gustoso pranzo. Dopo qualche giorno mi capita di fare vedere il video ad un altro marito che condivide appieno. Poi lo faccio vedere ad un’altra moglie che bolla i video di sessismo maschilista! Resto col dubbio se avesse ragione il marito o la moglie nel video ed anche gli altri che rivestono il medesimo ruolo in società, italiana? Bisognerebbe farlo vedere ad almeno 100 mariti e 100 mogli per poi stilare una statistica attendibile che dovrebbe dare il là alla soluzione equilibrata del piccolo-grande problema. Penso anche al monito “tra moglie e marito non mettere il dito”! Poiché mi gratifica studiare l’ambiente non solo naturale, come mi hanno abituato a fare da naturalista, ma anche economico, sociale, storico, politico, ecc. dico che in ogni cultura locale vi sono non poche varianti sul modo di intendere i ruoli maschili e femminili nella società. In Etologia valenti studiosi della società delle api, ad esempio, hanno dimostrato che i ruoli in quella società non sono fissi. Essi si possono cambiare per necessità di sopravvivenza sociale. Basta tagliare le ali alle api operaie che il loro ruolo di raccogliere il nettare dai fiori viene svolto dalle api soldato.
Il comunismo romeno, guidato dal 1965 al 1989, da Nicola Ceausesco, trasformò molto la società e l’economia romena. La donna fu spinta fuori di casa nelle scuole e nelle fabbriche nonche cooperative di produzione agricola. Anche in altri Paesi della cortina di ferro stalinista la storia si ripetette. A Bucarest vedevo donne ferroviere provenienti da Mosca. L’economia assorbì moltissimi ingegneri ed architetti donne nonché segretarie. La donna casalinga e angelo del focolare, è ancora diffusamente presente nella cultura popolare di alcune aree del Mezzogiorno, napoletana inclusa più che dell’interno Sannita. Quando si stilano le statistiche sulla disoccupazione femminile in Italia si nota una percentuale maggiore nell’ambiente meridionale poiché c’è da considerare la più diffusa mentalità tradizionale maschile: in aree sempre più ristrette ma ancora presenti. In altri Paesi, restando sempre nel nord del mondo, l’emancipazione femminile è stata molto più spinta che in Italia. Nei Paesi dell’Europa occidentale, le donne sono più emancipate di quelle dei Paesi a sud delle Alpi in ruoli soprattutto maschili fino a pochi decenni fa. Nei Paesi dell’Est Europa, invece, il regime comunista, ha costretto le donne a ruoli produttivi della grande industria ma non solo. Là è più facile vedere ingegneri, notai, chirurghi ecc. di genere femminile e non maschile. Nel loro sistema educativo, da noi è cambiato in istruttivo, gli ingegneri, i chimici, i fisici e i matematici donne costituiscono la maggioranza. Nel 2007 in Romania festeggiavo l’8 marzo tra docenti della bella città di Deva in Judet Hunedoara, Transilvania.
Là come qua la prevalenza di chi insegna era del genere femminile. Alla festa tra docenti di più licei e tecnici partecipavano oltre ai colleghi anche i dirigenti. Chiesi, provocatoriamente, ad alcuni colleghi romeni perché si festeggiava e mi accorsi che, almeno quei pochi interpellati, non ne conoscevano la causa da rimandare alla lotta sindacale del lavoro femminile. Allora la dirigente, subito informata, mi disse di dire due parole ai convenuti in merito, ma declinai l’invito per il clima festoso con pranzo e ballo successivo. Proposi che lo facesse un loro docente sindacalizzato, che insegnava religione ortodossa. La dirigente mi disse che non era il caso dopo che le precisai i tre principali tipi di sindacato: rosso, bianco e giallo noti in Italia. Lei capì che il docente da me individuato apparteneva probabilmente al colore giallo e si preferì l’inconscio ambiente festoso e all’unanimità. Assistetti allo sciopero dei docenti romeni di 3 settimane per avere il raddoppio dello stipendio, il Governo non li accontentò ma raddoppiò il Pil per la scuola in particolare per ammodernarla.
Allora come ora dico che non è facile parlare di donne in qualunque settore dell’ambiente sociale. E che dire dei matrimoni combinati del passato europeo e di quelli africani attuali? Un collega romeno di lettere e bibliotecario del liceo tecnologico “Transilvania” Ioan Bodrean, nel 2004 spesso mi faceva da guida a fine settimana e mi condusse al parco dendrologico di Simeria, ad Alba Iulia, a Samizegetusa Regia, a Bran, ad Hatec, nonché lungo stradine dove le donne lavavano ancora i panni sulle rive di torrenti affluenti del fiume Mures lungo la sua media valle dove era ubicata la città di Deva.
A Simeria vicino Deva, un collega romeno mi raccontò la leggenda di una collina trasformata in due giovani amanti: uno negro e povero con la figlia del re bella e bianca. Il re appurato il fatto pietrificò entrambi e la collina di Usturoi, vicino Simeria, sembra lacrimare ancora oggi allo sguardo di chi osserva con la leggenda in memoria.
Quante leggende in Transilvania ho udito come quelle descritte dall’altro collega, pure umanista ed amico di Bodrean, G. Hasa. In quell’ambiente il tradizionale era ancora non poco diffuso in società insieme ad elementi spinti di modernità come l’uso di computer a scuola e negli uffici bancari e della pubblica amministrazione.
Oggi in Europa nessuno più si oppone all’amore tra due giovani e forse anche tra due amanti di qualunque età anche se a causa della cultura religiosa non poche sono le donne e gli uomini gelosi oltre misura. La Giornata Internazionale della Donna, che cade ogni anno l’8 marzo, è un modo per ricordare l’ambiente storico e sociale del passato anche recente. Molti ritengono che la festa della donna celebri la Festa istituita nel 1908 in memoria delle operaie morte nel rogo di una fabbrica di New York, la Cotton, altri si rifanno a donne socialiste, ecc.. Bisognerebbe nominare donne al 50% dirigenti di musei e centri culturali italiani. Anni fa il Direttore della Reggia di Caserta, proveniente dal Nord d’Italia, suscitò una rete di solidarietà nazionale e mondiale quando venne vilipeso, e bersagliato di critiche di schiavismo verso i dipendenti, addirittura di comportamento antisindacale, ecc. Lo bersagliò di critiche la campana classe dirigente, che voleva lo stato quo ricco di privilegi che molti burocrati sanno tessere nelle pieghe non trasparenti delle leggi, che interpretano con le loro circolari interne, chiosando le leggi nazionali, che sono sempre basate sulla civiltà non sul nepotismo istituzionale, che è un male soprattutto di noi meridionali, altro che canzonette oppure film come ”Benvenuti al Sud”. Da noi, nel Mezzogiorno, non è l’emancipazione della donna il problema dei problemi ma la burocrazia che permette a troppi di nascondersi nelle pieghe normative e perpetrare illegalità diffuse e nepotismi inossidabili spesso in feudi elettorali del Sannio.
Nel 2009 presentai a Letino (CE) un mio saggio “Letino tra mito, storia e ricordi”, unico saggio letinese scritto da un indigeno. In esso dedicai un capitoletto al ruolo delle donne letinesi e, dopo 12 anni, da quella “semina” non ho mai avuto modo di sentire qualche commento positivo o negativo. Mi bastarono le reazioni virulente e negative di alcuni politicizzati, più giovani di me, con diversa visione in merito ai fatti di cronaca del 1877.
Allora Cafiero e Malatesta guidarono una ventina di giovani armati di fucili, dal territorio beneventano di San Lupo, via Pietraroja, fino a Letino e Gallo Matese. Dopo discorso nell’ambiente (ad alta ingenuità popolare sia letinese che gallese, allora non scolarizzato tranne il prete e il segretario comunale, il secondo solo si oppose ai borghesi nullafacenti, direi ieri come oggi poiché i preti, che non “puzzano di pecore”, spesso sono lontani dal popolo) bruciarono i documenti municipali, il ritratto del re e bevvero vino a volontà.
Nel citato saggio scrissi che con la storia dei letinesi quei signori erano estranei e che oltre a seminare odio di classe privarono i letinesi di utili documenti di storia locale, bruciandoli in piazza. Ma lasciamo ai posteri ed anche a quei politicanti più giovani e miei conterranei d’origine, che il tempo ci ammorbidisca verso visioni meno intransigenti e più edulcorate, ma non da epica storica però. Nel 100esimo anniversario della festa delle donne cosa può scrivere un uomo? Bisognerebbe lasciare la parola solo alle donne. Di persone si può scrivere, parlare e magari specificare un pò l’appartenenza di genere che ha delle esigenze lavorative anche diverse. Alle donne che lavorano bisogna riconoscere meglio i congedi o le assenze per maternità, allattamento, ecc. che agli uomini interessano meno per un fatto biologico soltanto anche se con la cultura gender che avanza le cose non sembra stiano proprio così. A molte giovani donne il lavoro superprecario o anche a contratto a termine vede ancora non pochi padroni negare i congedi per maternità oppure il licenziare appena nota la gravidanza. La produttività capitalistica deve sempre raccordarsi con l’avanzamento civile di tutti sia dipendenti che indipendenti nel lavoro. Il sesso è un dato biologico e naturale, il genere un dato psicologico e socio-culturale. In tale prospettiva, la differenza tra uomini e donne, l’essere maschio e femmina non è un dato oggettivo e reale ma è un prodotto della cultura e della costruzione sociale dei ruoli. Fatto sta che il popolo italiano, più di altri popoli, resta tradizionalmente legato ai ruoli maschili e femminili che per non pochi giovanissimi sono stereotipi da antiquariato come pare stia divenendo anche il sacrale vincolo matrimoniale in favore di stare insieme per periodi limitati e non più per sempre “nella buona e nella cattiva sorte”, anche perché la sorte si costruisce e non si subisce più. L’uomo è sempre più artefice del proprio ambiente e largo ai giovani se non siamo capaci di ascoltare le loro istanze innovative per la nostri miopia di visione causata dalla tradizione. Conservare può significare miseria, innovare può anche significare distruzione. Bisogna cominciare a scegliere la buona tradizione e l’altrettanto la buona innovazione. Ma chi ci aiuta a selezionare l’una e l’altra? Noi stessi ma con la cultura, aggiornata, che solo più saperi ambientali possono fornirci ed aiutarci nella non facile scelta di responsabilità anche di specie! Dal 1600 all’inizio del boom economico italiano (1953), in molti paesetti del Sannio le donne vestivano con abiti tradizionali, ammirate ai mercati settimanali dai piedimontesi, alifani, alvignanesi, caiatini o caiazzani, bojanesi, cerretesi, isernini, venafrani, telesini, là si potevano vedere le pacchiane, che Piedimonte d’Alife, Alife, Caiazzo, Telese, Venafro, Bojano, ecc., anche dalle nipoti delle locali pacchiane. Sembra che a Letino, San Polo Matese, Sepino, ecc. tali pacchiane siano precedenti al XVII sec.. In ogni caso i costumi sono durati pochi secoli nella storia del costume italiano. Oggi in tempo di ieans, diffusi su scala globale tra giovani e meno giovani, i costumi tradizionali europei e non solo appaiono spesso come residuati di una sorta di guerra, poco nota, tra innovazione e conservazione, che non è iniziata adesso ma è lunghissima come la storia dell’Homo sapiens.
Gli abiti tradizionali che le persone indossavano fino all’ambiente globale degli anni Cinquanta in Italia e un po’ prima in Germania e un po’ dopo a est e in sud Europa, non servivano solo a ripararsi dal freddo. Riporto due foto che riproducono 4 giovani transilvani odierni che si laureano- miei ex studenti- e il costume artistico di Letino del Sannio campano, ammirato da un noto critico di storia dell’arte. Oggi molti, soprattutto letterati, poeti e comunque cultori di scienze umane, auspicano molta attenzione celebrativa alle tradizioni, mentre economisti, tecnici e comunque dell’area culturale scientifica, sono più per l’innovazione. Innovazione, secondo Ignazio Silone, può volere anche dire distruzione come conservazione miseria. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, non esiste un solo costume nazionale. Il fatto è che diverse regioni dell’ambiente italiano sono state separate l’una dall’altra per un lungo periodo di tempo, e infine unite 160 anni fa, tranne il Triveneto liberato dal dominio austro-ungarico degli Asburgo 155 anni fa. Laddove la tradizione impera là ci sono ancora problemi di donne meno emancipate, contratti di lavoro padronali, feudi elettorali di politicanti senza scrupoli che operano sui sudditi e non sui cittadini, come spesso, purtroppo, si verificano ancora in alcuni ambienti interni appenninici del nostrano Sud. Non è che al Nord manchino del tutto, ma operano a livelli meno asfissianti dell’amministrato e governato e con un ascensore sociale meno bloccato del cittadino residente nel territorio meridionale, che emigra in cerca di migliori opportunità di lavoro come le migliaia di giovani, spesso laureati, che frequentano i treni sud-nord del nostro Bel Paese, dove la burocrazia stenta ad essere ridotta nonostante i proclami governativi.
In 20 regioni e circa 8mila comuni ci sono ambienti sociali non poco differenti per percentuali di aspetti consuetudinari considerevoli di tradizionale e d’innovativo. Solo una visione liberale moderata potrà meglio di altre, commettere meno errori nel prospettare una rotta che sappia contemperare tradizione e innovazione se si vuole evitare un ritorno alla barbarie delle piccole patrie ambientali più medioevali che quella di Roma caput mundi che aveva emancipato anche le donne, ma senza permetterle di votare insieme agli analfabeti e ai nullatenenti, analogamente alla precedente Repubblica di Atene o di Pericle.
Giuseppe Pace (cultore d’Ecologia Umana)
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