Palma Campania, 31 Ottobre – Antonio Marotta è cantautore di musica popolare, musicista, e musicoterapista. La passione per la musica l’ha accompagnato fin da piccolo, da quando cantava nel coro a Sarno, il paese natio della nonna, che gli raccontava filastrocche e favole di cultura folcloristica, perlopiù contadina.
È cresciuto con persone adulte, Antonio, in un mondo legato alla terra, il cui tempo è scandito dalle stagioni dei lavori nei campi, cadenzato dalle voci della fatica, dalle canzoni popolari dialettali, il linguaggio semplice dei mestieri, da cui è sempre stato affascinato, e ne studiava le parole,la vocalità.
I primi studi musicali li ha frequentati a Nola, con il maestro Roberto Petrella, figura importante per Marotta, e che negli anni ’90 ha formato molti musicisti. Intanto tra scuola, passione per la musica e bottega imparava il mestiere dell’artigianato del legno, che in seguito gli è servito per la costruzione di tammorre e tamburi e per il restauro del legno a Napoli. L’esperienza lavorativa in città lo ha messo in contatto con figure fondamentali per la sua vita, come Roberto De Simone, compositore, musicologo, regista teatrale, con il quale ha prima studiato e poi stabilito un profondo rapporto di amicizia.
Si è poi trasferito a Roma, dove ha lavorato con diversi musicisti importanti, come De Girolamo, il soprano Michela La Torre, e tanti altri. In vari momenti è stato anche all’estero, producendo dischi che si sono ben affermati.
E’ stato un viaggio tra i linguaggi, durante il quale la collaborazione era un momento di incontro e confronto con varie tecniche, che lo ha condotto alle esperienze più varie in stili diversi, tra cui spiccano il paraliturgico e le tradizioni popolari, esperienze contrassegnate da una fervente ricerca etnomusicologica, che ancora continua.
Un altro percorso importante è la musicoterapia, alla quale si è accostato con interesse crescente, sollecitato dalla malattia della madre Annamaria, disabile mentale da tempo.
Aveva solo sei anni quando, rimasto orfano del padre, si è dovuto trasferire con la mamma e il fratello poco più piccolo, dai nonni materni a Palma Campania, perché la mamma aveva iniziato segni di squilibrio e non poteva occuparsi di lui e suo fratello. Così è stata la nonna a prendersi cura di loro, piccoli e con una mamma disabile.
La morte della nonna e la patologia della madre, ricoverata per dieci anni in ospedale psichiatrico, lo hanno portato a cercare nuove strade che lo aiutassero a prendersi cura di lei. Si è interessato alla psicologia, ha ripreso gli studi e si è laureato in musicoterapia
La disabilità vissuta con gli incontri nel manicomio e le giornate devastanti di quel mondo fatto di pazzia, l’hanno portato ad affrontare gli ostacoli, «Non evitarli significava essere me stesso. Ho vissuto con dolore il senso di abbandono in cui viveva mia madre e portarmela a casa per me ha significato un senso di riscatto sociale. Così ho chiuso i rapporti lavorativi e sono tornato nel mio paese da Musicoterapeuta. La nonna è stato il mio modello di combattente, lei, con il suo esempio, guidava i miei passi, lei che sdrammatizzava il dolore, le amarezze, i dispiaceri, che vivevo in prima persona», ci ha raccontato.
Attualmente Antonio Marotta vive con la mamma Annamaria e la sua compagna musicista Alessandra Ruggiero, con la quale lavora a stretto contatto.
«Ho incominciato ad introdurre mia madre nei laboratori ed oggi mi segue anche nei concerti da persona inclusa. La patologia di mia madre come risorsa non è altro che “pensiero divergente”, così come lo chiamano gli psichiatri. Pensare in maniera non convenzionale, e ciò è vita e ha un effetto terapeutico. Io stesso ne ho avuto bisogno. Ho iniziato a fare il percorso del caso clinico di mia madre, senza sapere che ne scaturisse il caso, era l’unica strada che mi permetteva di fare qualcosa. Non potevo aspettare che mi tendessero la mano. Sono stato allontanato da amici e conoscenti. La disabilità nel paese spaventa, si ha vergogna, genera irritazione. Il mio non vuole essere un atteggiamento giudicante, ma ho subìto questo comportamento e ho dovuto sostenerlo», confessa il musicista.
Non è stato facile per il musicista interrompere un percorso intrapreso e dedicarsi completamente alla cura della mamma, pur continuando la ricerca nel campo. E i vecchi amici?
«I vecchi amici, gli artisti con i quali avevo collaborato, erano preoccupati per me, sono giunti da lontano per dirmi che stavo rovinando la mia carriera, che non mi vedevano ai convegni, alle manifestazioni, agli spettacoli. Mi rimproveravano che avevo abbandonato il lavoro per fare il badante. Infatti guadagnavo bene, ero in un circuito dove il mio lavoro mi dava soddisfazione. Quando ho vissuto a Roma, ero nel Parco della musica, invitavo musicisti, trovavo lavoro per loro, per i miei colleghi, inventavo ed invento ancora spettacoli, crescevo sempre più andando alla ricerca di nuova musica e affiancavo persone competenti con cui mi spostavo per concerti nelle grandi città italiane e all’estero. Ma ho dovuto fare delle scelte. E il mio telefono non ha squillato più. Avevo grossi problemi da affrontare e gli amici sono spariti. Ero solo ad affrontarli».
Poi, cosa è cambiato?
«Fortunatamente ci sono stati musicisti come Mario Vorraro e qualche amico stretto che mi ha seguito. Sembra un paradosso, ma è stata proprio la disabilità di mia madre a rimettermi in gioco. Se mi fossi arreso, saremmo rimasti sepolti in casa, lei sofferente, io ad occuparmi esclusivamente di lei, ma a distruggere me stesso. Così ho inciso Pezzi fatti in casa di CaSa MaroTta scaturito dal progetto Siriana, il mio terzo lavoro discografico, con voce, chitarra, tammòrre, con Mario Vorraro, Alessandra Ruggiero, Elisa Vito, Marco Smorra, Shaone, Valerio Mola, Salvatore Rainone. Un lavoro durato tre anni, la cui conclusione mi ha dato grande soddisfazione e lavoro. Siriana è tutto per me. Si sono interessati al mio lavoro terapeutici, primari di psichiatria, strutture di salute mentale ed oggi lavoro perché conosciuto come la fatica di Siriana. I primi due dischi autoprodotti sono “Canti a dispetto” e “Catene”. E dopo il successo sono tornati gli amici, ma oggi mi sono tirato addosso uno scudo e faccio tesoro della mia solitudine».
Come è cambiata la vita di Antonio musicista e di mamma Annamaria?
«Completamente. Oggi attraverso i pezzi musicali, mia madre partecipa alla scrittura. Do voce a mia madre, alla sua fantasia, con gli strumenti che ho sempre utilizzato: le tammorre, la chitarra, il mandolino, le nacchere. Suoniamo insieme, memorizzo frammenti sonori, da cosa nasce cosa, invito amici a cena per far ascoltare ciò che ho realizzato e mia madre partecipa, suona, canta, ricorda, è musicoterapia. Prima la sua disabilità mi torturava psicologicamente. Adesso è staccata da me. E’ in un’altra situazione. Ne vedo i lati positivi e cerco di farle fare una vita dignitosa. La mia compagna Alessandra Ruggiero, musicista, musicoterapista, ha un rapporto personale con mia madre, come i miei amici, che la prelevano per portarla in giro per una passeggiata. Ha ripreso una vita dignitosa, ha dei suoi ricordi, non legati solo a me. E ciò è il risultato più importante di quello che faccio».
Come ti giudica il pubblico?
«Ho letto in rete che voglio emergere sfruttando la condizione di mia madre. In questa era dei social si perde molto più tempo a mostrare foto a mare che ad occuparsi dell’altro o del vicino, che ne hanno bisogno. Non sto facendo niente di sovrumano, metto in atto le mie competenze di cantautore, musicoterapista e con ciò che mi detta il cuore. Non aggiungo altro, anche se c’è tanto da far riflettere. Mi bastano gli squilli dei primari che vogliono il mio contributo».
Chi è oggi Antonio Marotta?
«Oggi sono un musicoterapista, ho ripreso ad insegnare musicoterapia nella scuola Carlo Gesualdo – Gesualdo (Av) tra le migliori scuole di formazione del Sud Europa come la definì Tony Wigram. Lavoro all’ ASL Napoli 3 in più strutture, dove espleto il lavoro di laboratori in equipe con gli psichiatri, con il luminare Fausto Russo, primario di psichiatria a Tor Vergata, psicoterapeuta. Riuscire a parlare di interazione con i miei studenti e colleghi, è un forte stimolo ad andare avanti con grandi soddisfazioni. Il paziente non guarisce, né allevia il malessere senza l’apporto di altre componenti, come lo psicoterapeuta,il musicoterapista, lo psichiatra. Lavoro a stretto contatto con i “diversi”, li studio, come ho fatto con mia madre. Lo psicopatico è chiuso in un castello dove tutto è capovolto e l’artista, ne ha la chiave. Si analizzano in equipe caso per caso ed usiamo la musicoterapia che è linguaggio, comunicazione non verbale, per intervenire a livello educativo, riabilitativo o terapeutico, in una varietà di condizione patologiche e parafisiologiche. Al laboratorio prendono parte anche medici, compresa mia madre ho proposto lei con l’inclusione, si esibisce nelle situazioni dei laboratori. Chi meglio di mia madre che ho studiato, può darmi il meglio a procedere con i diversi?».
Altre esperienze significative?
« Ho da poco portato a termine un progetto con l’evento ” Il Festival della Felicità” a Torre Annunziata e Boscotrecase, organizzato dalle Associazione Familiar-Mente, Progetto Cripta e Jesce Sole, da operatori che lavorano per l’inclusione del diverso, chiunque sia il diverso e da Marinella Antonacchio, psichiatra e psicoterapeuta, socio fondatore di FamiliarMente, colei che ha contribuito a tirar fuori i pazienti dai manicomi, strutture aberranti. E’ stato un momento di appuntamenti di ragazzi e adulti disabili, menti squilibrate che, accompagnati da genitori e famigliari straordinari, vivono equilibri fuori dagli schemi standard. E’ stato un incontro magico e solidale, consumato con laboratori teatrali, di pittura, di spettacoli musicali e danza. Il repertorio specifico che ho preparato come musicista e musicoterapista, con la collaborazione di Alessandra Ruggiero, ha dato davvero felicità. Naturalmente mia madre ha fatto la sua parte, si esibisce, partecipa, suona, canta».
E qui, a Palma, è riuscito a proporre la musicoterapia?
«Sono musicoterapista da circa un anno e mezzo a La Stella Nuova – Casa Alloggio di Palma Campania, gestito da Litografi Vesuviani, una cooperativa sociale che accoglie persone con disabilità psichiatriche che hanno bisogno di interventi psico-sociale-riabilitativo, dove il modello di riabilitazione verte su attività esperienziali anche a contatto con la natura. E’ un luogo della semi residenzialità, dove è operante il Progetto di recupero. Non tutti i pazienti, però, sono staccati dalla realtà. La struttura è confortante per ciò che i pazienti costruiscono per la riabilitazione: l’orto sociale, lavori domestici, lavori di tipografia, computer, tutti percorsi di reintegro nella società. La dottoressa Chiara Fusco, assistente sociale dello sportello Sociale del Comune di Palma, opera sul territorio ed è a stretto contatto con la struttura».
Progetti per il futuro?
«E’ in programma un prossimo progetto Festival, questo appena conclusosi è stato l’inizio di progetto felice alla riscoperta e al rispetto dell’Altro. L’estate prossima suoneremo in diverse strutture psichiatriche e naturalmente mia madre e la mia compagna ne faranno parte. Musicoterapia al servizio del diverso. Sto preparando un nuovo progetto discografico, di cui non so ancora quale nome prenderà. E’ in effetti il Dopo Siriana, Siriana Nuovo. Prende spunto dalle problematiche del lavoro che affronto all’ASL Napoli 3. Sto cercando di dare forma alle condizioni che, studiate, mi porteranno a dare forma alla diversità dei pazienti. Il Dopo Siriana è un lavoro che racchiude il “dentro” e il “fuori”, un viaggio attraverso il vissuto già percorso, un lavoro da scardinare ritornando alle radici della mia prima fase di cantautore, fatta di musica, canzoni di un mondo di filastrocche, fattucchiere, maghi, intrigo, il” tribale” e il nuovo che sto realizzando. Lavoro ogni giorno, a contatto con l’inclusione e vedo persone, come mia madre, da esplorare nel fondo dell’animo, nel loro castello in aria. Devo mettere in musica e parole il momento che sto vivendo».
Come metterai in musica il silenzio del folle?
«Bella domanda, ci sto provando, studio il caso, come ho fatto con mia madre. In questo periodo di lavoro intenso che non mi permette di stare in casa, fortunatamente, stiamo vivendo una nuova stagione e mi sento forte ed onorato della compagnia di luminari e di quanti mi invitano a concerti ed altro. Ho visto tanti medici, rivisto quelli che erano nelle strutture dove era mia madre e si ricordano di me ed adesso assorbono il mio contributo».
Non hai risposto alla mia domanda.
«E allora ci sarà una prossima intervista, perché avere il piacere di parlare con una persona sensibile quale sei, mi hai fatto dono di te oggi. Grazie lo dico io».
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“Sono un’insegnante e amo profondamente il mio lavoro. Due cose segnano la mia vita: Famiglia e Scuola. Credo nella bontà, nell’umiltà, nell’amore per il prossimo. Questi gli stimoli del mio impegno quotidiano affinché la vita sia veramente degna di essere vissuta. Amo leggere, viaggiare e preferisco scrivere”.