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La Giustizia che non c’è più

Napoli, 7 Dicembre – Parecchi decenni fa, la Repubblica Italiana aveva un sistema giudiziario che fungeva da modello per parecchi, specie sotto il profilo della disciplina legislativa: a far gola erano, in particolare, i tre gradi di giudizio (o, più appropriatamente, due gradi di merito ed uno di legittimità), oltre alle molteplici garanzie di cui – in àmbito penalistico – godono tanto l’indagato quanto l’imputato e – per quanto attiene al processo civile – la normativa regolante l’istruttoria.

Con l’avanzare dei lustri, purtroppo, il quadro è mutato in peius, penalizzando gli avvocati ed esaltando – a nostro avviso…eccessivamente – la figura magistratuale, oramai posta nelle condizioni d’agire come meglio crede, dimenticando di sottostare alla Legge (come dispone l’art. 117 della Carta Fondamentale).

La presente analisi contiene un invito generalizzato ad aprire gli occhi su una problematica che, ahi noi, pare sfuggire sistematicamente vuoi ai politicanti di turno, vuoi ai vertici di Magistratura ed Avvocatura, da individuarsi nell’amministrazione a dir poco maldestra della Giustizia in seno a taluni Uffici facenti capo ai Fori di Napoli e Napoli Nord (quest’ultima denominazione è stata attribuita al Circondario d’Aversa): si procederà di séguito ad illustrare praticamente i vari casi che han lasciato letteralmente di ghiaccio tanto i dello Studio Vizzino – che curano controversie attinenti perlopiù al settore dei sinistri stradali -, cui seguiranno brevi riflessioni congiunte di ambedue gli scriventi.

Sia consentito premettere che il ruolo del patrocinatore legale, sempre contraddistintosi per la sua funzione sociale, avente come obiettivo primario la tutela del Cittadino, attualmente tende ad essere oggetto di umiliazione, modificazione ed offesa…durante la quasi totalità delle udienze, perlopiù laddove si riscontri qualche anomalia su cui controparti e magistratura, per prassi consolidata, sono avvezzi a chiudere un occhio (se non tutti e due!).

Nell’esercitare il proprio ministero (che è tale sotto ogni profilo, dacché costituisce il frutto anche di un’autentica vocazione, oltreché di notti sudate sui libri), l’avvocato deve attendere a precisi doveri deontologici: a titolo esemplificativo, si pensi all’obbligo di esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa nonché rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.

Ma questi doveri…sono ancora sentiti e applicati?

Purtroppo, no. Se pensiamo a quello che avviene nelle aule di udienza o nei corridoi dei Tribunali ci renderemo conto di quanto, attualmente, la figura dell’avvocato sia stata totalmente svilita.

In sede d’udienza, tutto sembra sfuggire tanto al Giudice quanto al Cancelliere, considerato che – specialmente presso i Giudici di Pace di Napoli Nord –  Marano di Napoli – le prove testimoniali vengono sovente articolate (non in aula, bensì) negli atrii e nei corridoi, con l’ausilio delle Note di Diritto Pratico che si redigono tranquillamente tramite smartphone: una circostanza siffatta accresce il rischio di testimonianze inattendibili, se non addirittura false, ovvero rese da soggetti-fantasma.

Esemplificando, non ci si premura minimamente di verificare – anche chiedendo gli opportuni chiarimenti – se si stia agendo con onestà o se, al contrario, si stia ricorrendo a qualche losco espediente per burattinare la Giustizia.

Più che ai singoli operatori degli Uffici Giudiziari, la colpa dello svolgimento “anomalo” delle udienze va ascritta al sistema-Giustizia, dal momento che parecchi edifici (come quelli che ospitano i Giudici di Pace di Barra, Marano di Napoli, Marigliano, Nola, Napoli Nord) sono privi di ogni presidio: ne consegue, ça va sans dire, che alle aule può accedere chiunque, magari camuffandosi da avvocato pur essendo ancora praticante (perché molti Giudici non controllano il tesserino in udienza) o, peggio ancora, con l’obiettivo di malmenare gli operatori del diritto che ivi prestano la propria opera, come avvenuto qualche mese fa a danno di una Giudice che, nell’assolvere ai propri còmpiti, è stata brutalmente aggredita, riportando la frattura di un dito. Ed il problema inerente alla salute e sicurezza sul lavoro…finisce nell’oblio: ciò significa che gli operatori della Giustizia (Giudici, Cancellieri, Personale Ausiliario, etc.) ben potrebbero, anche in virtù della palese fatiscenza degli edifici ove hanno sede i Giudici di Pace, rivolgersi al Tribunale del Lavoro competente per invocare la tutela risarcitoria che l’ordinamento riconosce loro.

Quale sarà il risultato? Semplice: altri soldi dei Cittadini buttati nella pattumiera, perché le casse dello Stato le rimpinguano loro (quindi, noi!).

Inoltre, nell’àmbito di una causa pendente innanzi al Giudice di Pace di Gragnano, l’avv. Vizzino, difensore di parte convenuta, s’è avveduto che il difensore attoreo non possedeva il titolo d’avvocato (o, per meglio dire, era un avvocato ormai decaduto): non ha, quindi, esitato ad eccepire il tutto, ma…il GdP, anziché trasmettere – come previsto dalla Legge – gli atti alla competente Procura della Repubblica, ha rinviato la causa in prosieguo di prima udienza ai sensi dell’art. 320 del Codice di rito civile.

Allo stesso giuoco si è giocato anche nel Mandamento di Nola, ove l’incarico difensivo di parte attrice era stato assunto da un praticante che non aveva ancora superato l’esame di abilitazione all’esercizio dell’avvocatura. Ebbene, anche qui lo Studio Vizzino ha rappresentato al Giudicante la situazione, ma costui…non ne ha voluto sapere d’informare la Magistratura requirente: il giovanotto in questione era, nelle more della lite, divenuto avvocato, quindi il ritrovato cui s’è inteso ricorrere è consistito nel disporre la rinnovazione dell’atto introduttivo, facendo finir tutto a tarallucci e vino, come di consueto.

Di più!

A “sorvolare” i corridoi dei cennati Uffici Giudiziari vi sono degli…uccelli di bosco, che vanno identificati nei sanitari a caccia d’incarichi come consulente tecnico d’ufficio (CTU); peccato, però, che parecchi di essi non possiedono i requisiti per rendere siffatte consulenze, né tantomeno per quantificare concretamente i danni patiti dalle parti: a titolo esemplificativo, si pensi ai medici ospedalieri o strutturati – che, senza l’autorizzazione dell’ASL d’appartenenza, non possono prestare giuramento come CTU -, oppure agli esperti camerali, che – in ossequio ad una legge varata nel 2012 – non sono in alcun modo legittimati ad assumere la qualifica suddetta, né ad eseguire la quantificazione dei pregiudizi supra menzionati.

In casi simili è configurabile, invero, anche un’evasione fiscale – oltre ad un evidente danno all’erario, di talché ci si riserva di trasmettere i relativi atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti.

Un modo di fare del genere è tristemente diffuso nel Mandamento di Marano di Napoli, notoriamente caotico (anche per via del disordine che regna nelle Cancellerie, piene di fascicoli sparsi ovunque, senza il minimo rispetto delle norme in tema di riservatezza): ebbene, ivi accade con frequenza che la consulenza d’ufficio finisce con l’assumere i connotati di un mero formalismo, dacché parecchi Giudici Onorari di Pace (GOP) sono avvezzi a chiedere i chiarimenti peritali anche laddove le cause ad essi assegnate risultino, de facto, lette e decise.

Esemplificando, i GdP s’infischiano delle disposizioni a tal riguardo (e noi paghiamo)!

Altro indice di mala-giustizia è la famigerata questione delle fatture: ebbene, a tal riguardo si precisa che, innanzi al Giudice di Pace di Barra, lo Studio Vizzino ha richiesto, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., l’esibizione delle suddette ai periti di parte e d’ufficio per meglio comprendere l’entità delle lesioni lamentate da parte attrice; ma il Giudicante ha respinto la richiesta, sostenendo – del tutto erroneamente, beninteso – che il deposito di tali fatture non fosse obbligatorio.

Sul punto c’è da evidenziare che qualche giorno fa, nel rappresentare un siffatto inconveniente al GdP di Marano, lo scrivente avvocato Vizzino s’è visto rispondere di non avere a che fare con un finanziere: una barzelletta (per non dire altro)!

Non è finita qua, però!

Qualche giorno fa il Giudice di Pace ha inspiegabilmente rigettato la domanda proposta da una sventurata donna anziana che, nel camminare per le strade di Napoli, è finita clamorosamente in una buca non adeguatamente segnalata, riportando lesioni: orbene, il Magistrato onorario ha giustificato la reiezione argomentando che la difesa dell’attrice (ossia il team Vizzino) non aveva prodotto gli atti interruttivi della prescrizione, segnatamente le numerose missive di costituzione in mora inviate medio tempore al Comune partenopeo; peccato, però, che esse – come attestato dal Giudicante medesimo nel verbale d’udienza – risultavano acquisite agli atti, ragion per cui si sarebbe dovuto procedere a rimetter la causa sul ruolo al fine di chiedere chiarimenti e, se necessario, ricostruire il fascicolo.

Com’è che, ad un tratto, le cennate missive erano sparite? Bisognava approfondire la questione, per Giove!

Passiamo ora ad esaminare al continuo abuso – piuttosto avvilente, oltreché illecito – dei rinvii di udienza utilizzati, appunto, dai Giudici di Pace, al fine di “invitare” il teste a rendere la sua dichiarazione. L’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti private a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore inviando copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a posta elettronica certificata o a mezzo telefax. Il Codice di Procedura Civile (c.p.c.) recita testuali parole: “Se il testimone regolarmente intimato [104 disp. att.] non si presenta, il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporne l’accompagnamento all’udienza stessa o ad altra successiva. Con la medesima ordinanza lo condanna a una pena pecuniaria non inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000 euro. In caso di ulteriore mancata comparizione senza giustificato motivo, il giudice dispone l’accompagnamento del testimone all’udienza stessa o ad altra successiva e lo condanna a una pena pecuniaria non inferiore a 200 euro e non superiore a 1.000 euro.”

La norma è chiara a riguardo, poiché specifica che dopo il secondo rinvio a comparire, il testimone è costretto a presenziare in udienza, salvo comprovato giustificato motivo. Ed invece è abitudine ormai consolidata, specie in seno all’Ufficio del Giudice di Pace di Barra, rinviare ripetutamente le udienze, senza giustificato motivo o senza che venga disposto l’accompagnamento coattivo del teste. Un ennesimo schiaffo alla normativa vigente, la quale detta le linee guida idonee ad attuare il giusto processo e la giusta difesa del cittadino, ma puntualmente quest’ultimo, viene stravolto da una prassi vergognosa attuata da pseudo avvocati e giudici che tendono solamente a tirare l’acqua al proprio mulino.

Si reputa doveroso rappresentare a chi ci legge che, in tempi recenti, un Magistrato Onorario di Pace (sempre a Barra, guarda caso!), anziché disporre – come previsto dal Codice di rito civile – l’accompagnamento coattivo a séguito di mancata comparizione del teste in udienza, ha rinviato per ben quattro volte la causa per prosieguo prova: così facendo, si finisce tanto con l’ingolfare ulteriormente i ruoli quanto – cosa ben più grave – per favorire i Mangiafoco dei processi, tali da intendersi quei soggetti abituati a giocare sporco per vincere (cosa che non dovrebbe minimamente ammettersi nel contesto giudiziario).

Ma non è finita qui!

Un’altra piaga della giustizia riguarda, senz’ombra di dubbio, la figura del consulente tecnico d’ufficio (CTU). Nell’ambito dei procedimenti di diritto sia civile sia penale, il Consulente Tecnico d’Ufficio è un consulente del Tribunale, un ausiliario del Giudice. È quindi un soggetto della cui competenza ed esperienza il Giudice si avvale nell’esercizio della funzione giurisdizionale per incarichi specifici.
Il Giudice dovrebbe nominare il consulente scegliendolo tra coloro che sono iscritti nell’apposito Albo dei consulenti del Tribunale. Ciascun Ordine o Collegio professionale determina i requisiti in presenza dei quali è possibile procedere all’iscrizione negli Albi dei consulenti a cui possono anche iscriversi soggetti in possesso di specifiche competenze tecnico/scientifiche e non appartenenti a nessun albo professionale.

Ciononostante, purtroppo, i CTU sono sovente privi delle conoscenze necessarie ad orientare il convincimento del Giudice nella fase delicata di composizione delle singole liti, vuoi perché queste ultime ineriscono ad un campo del tutto estraneo alle conoscenze ed all’esperienza da loro maturate, vuoi – soprattutto – perché ai piani alti della Giustizia locale (e non solo, purtroppo!) non ci si premura minimamente di effettuare le verifiche caso per caso, specie per ciò che inerisce al possesso di determinate qualifiche necessarie all’espletamento di tale compito (come quella di medico-legale oppure quella relativa alla sussistenza o meno dello status di sanitario strutturato, il quale ultimo non può giurare come CTU senza essere previamente autorizzato).

Ma…chi è il medico legale? A tal proposito, v’è da articolare delle considerazioni circa la figura del perito medico-legale, osservando che, ogniqualvolta il Consulente sia privo delle competenze della specializzazione medico legale, si osserva inesorabilmente ad un atteggiamento comune: il nesso causale è sempre e aprioristicamente accertato ed il consulente, riportando le solite e benamate frasi generalistiche, si limita ad elencare i criteri di accertamento causale ritenendoli così soddisfatti e procede alla semplice quantificazione del danno. 

Ciò porta, in maniere avvilente e dequalificante, a scontri tra specialisti medici legali, che solitamente assumono il ruolo di consulenti di parte, e CTU…di razza (che hanno però l’ultima parola) sulla corretta interpretazione del caso. 

Appare spesso più che mai evidente la difformità di linguaggio fra i due soggetti testé menzionati, che conduce sovente a risoluzioni aberranti sotto il profilo medico legale…in senso favorevole a chi si assume danneggiato. 

Sebbene sia assolutamente da difendere, in ambito civilistico, il criterio della probabilità logica che permette la validazione del nesso di causa, che si traduce inevitabilmente in un vantaggio per il danneggiato (a differenza del penale, dove il dubbio favorisce il reo), l’incapacità tecnica di valutazione del nesso causale dei non specialisti non fa altro che dar luogo a risarcimenti ingiusti ed alimentare i fenomeni fraudolenti, con un danno che si ripercuote sulla collettività (ad esempio sui prezzi dei premi assicurativi). 

Non è certo mistero che la carenza della nozionistica di base porta a valutazioni causali non più basati sul “più probabile che non”, bensì a ritenere valido il nesso causale sulla base della semplice possibilità che un evento e un danno siano tra loro legati. 

Chiaramente, in ambito traumatologico le conseguenze sono devastanti: nessun medico dotato di compiutezza di ragionamento potrà mai negare la possibilità che un generico trauma possa produrre generiche lesioni traumatiche articolari, ma ciò non è quanto viene richiesto al CTU di fare, facendo peraltro perdere il senso di un accertamento tecnico. 

Se le risposte ai quesiti di un giudice trovano puntualmente risposta affermativa basandosi sulla sola superficialità del dato generico, della generica compatibilità, nei termini della possibilità, anche se quel nesso è certamente poco probabile, il CTU è relegato non tanto a fare il proprio lavoro, ma a prendersi una responsabilità, paventando l’aspetto tecnico, di avallare richieste di una dell’altra parte senza porre in essere quei ragionamenti dovuti alla metodologia medico legale. 

Può ad esempio un incidente motociclistico produrre un’isolata frattura del V metacarpo senza determinare lesioni accessorie tegumentarie o contusioni anche minori di altri distretti corporei?

Di certo può. Ma, sapendo che, epidemiologicamente, quella frattura è dovuta nell’80-90% dei casi ad un pugno contro una superficie rigida, in assenza di altri elementi tecnici medico legali che depongano per il fatto che un trauma stradale motociclistico sia mai avvenuto, è giusto esprimersi positivamente sul nesso di causa?

Fu, peraltro, l’intervento del legislatore a mitigare alcune evidenti incongruenze nell’operato dei Consulenti introducendo la legge 27/12 ed il celebre triplice accertamento medico legale clinico-obiettivo-strumentale ovvero visivo, che poi, stante le inesattezze riportate nel testo ed alcuni casi limiti che avrebbero portato a delle evidenti ingiustizie, ha trovato anche diverse pronunce avverse di cassazione. 

Andando però a scovare nell’intento di quella normativa cogliamo ancora i punti più critici della nostra discussione odierna. 

Che lo si voglia chiamare accertamento medico legale, triplice accertamento o accertamento del nesso di causa, tutto converge ancora una volta nella costante necessità di approfondita valutazione.

Ad allora imbricando la legge e la metodologia tecnica, si riesce a comprendere quelle che sono le richieste e le necessita dell’ambito giuridico. 

È doveroso validare ogni singolo criterio di accertamento del nesso causale sotto il triplice profilo clinico, obiettivo e strumentale con la conseguenza che la carenza di solo uno di questi porta all’impossibilità di esprimersi in maniera positiva. 

Dunque, sotto il profilo clinico dovrà essere rispettata la compatibilità (sempre in termini probabilistici e non possibilistici) che uno specifico quadro di accesso in PS sia adeguato alle lesioni riportate, finanche scoperte successivamente, e alla tipologia di trauma od evento dannoso subito. Ad esempio, la caduta da motociclo d’estate dovrà produrre escoriazioni per il corpo e contusioni multiple pluridistrettuali.

L’obiettività, in caso di lesioni intrarticolari acute, anche se non immediatamente diagnosticabili, dovrà condure alla scelta di eseguire una RX per verificare la presenza di fratture, la cui sintomatologia è completamente sovrapponibile e richiede un consulto specialistico ortopedico, infine bisognerà medicare le ferite e immobilizzare i distretti, prescrivere la terapia medica o chirurgica e infine dimettere o ricoverare. Dovrà poi essere rispettato un adeguato iter clinico con controlli seriati e terapie fino alla guarigione. 

Sotto il profilo obiettivo, al momento della visita in sede di accesso peritale, una specifica lesione riportata a seguito dell’evento dannoso, dovrà necessariamente avere il suo adeguato corrispettivo osservabile e obiettivabile. 

La semplice limitazione ai gradi estremi per dolore riferito o il dolore alla digitopressione non può rappresentare una lesione che solitamente si accompagna ai suoi segni cardine. Ed invece basta che il soggetto riferisca dolore, per ritenere soddisfatto il criterio obiettivo.

Con ciò, peraltro, si dimentica, o meglio si ignora, che l’oggetto della quantificazione del danno in medicina legale sono le menomazioni e non le lesioni. Invece, anche di fronte ad un quadro obiettivo dichiaratamente negativo ed aspecifico, se sono documentate lesioni strumentalmente, sovente si procede, ingiustamente, al riconoscimento di percentuali di danno biologico anche basati sui corrispettivi tabellari. 

Ed infatti, ulteriore abitudine inspiegabile è quella di attribuire percentuali di danno biologico, non solo a fronte di obiettività negative, ma anche quando non vi sono lesioni permanenti documentate (i classici 1-2% della contusione di ginocchio o del colpo di frusto).

In ultimo, occorre spendere riflessioni in ordine al criterio strumentale introdotto proprio dalla 27/12.

L’errore più marchiano che viene sistematicamente commesso è quello di ritenere validato il nesso di causa tra un evento traumatico e delle lesioni refertate strumentalmente de plano, senza considerare il rapporto sotto il profilo cronologico. Si finisce, dunque, puntualmente con il risarcire lesioni che sotto il profilo documentale sembrano preesistenti al trauma, mancando nelle immagini e nei referti quei segni di acuzie che sempre accompagnano la produzione di lesioni (classica è la lesione di crociato anteriore dimostrata con RMN eseguita a distanza di 20 giorni dal trauma, in assenza di versamenti articolari, edema osseo e con aspetto assottigliato del legamento, quando è noto in letteratura che nei primi 30-40 giorni c’è un versamento importante, i fenomeni infiammatori conferiscono al legamento leso un aspetto ispessito e l’edema osseo scompare non prima dei 2-3 mesi, ma mai si riesce a far esprimere il CTU sull’incompatibilità causale cronologica). 

Un capitolo a parte nel “caravanserraglio” delle CTU per la valutazione del danno alla persona, è rappresentato dalla scelta, da parte di taluni Magistrati, ricadente su laureati in odontoiatria e protesi dentaria per la stima del danno, ad esempio, da incidente stradale.

Una necessaria premessa serve a meglio inquadrare tale specifica fattispecie: i laureati in Odontoiatria svolgono attività inerenti alla prevenzione, alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite e/o acquisite dei denti, della bocca, delle ossa mascellari, delle articolazioni temporo-mandibolari e dei relativi tessuti. Si occupano della riabilitazione odontoiatrica, prescrivendo tutti i medicamenti ed i presidi necessari all’esercizio della professione. Progettano, verificano ed inseriscono i manufatti protesici odontoiatri dei quali controllano la congruità.
I laureati nei corsi di laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentaria sono in grado di praticare una gamma completa di interventi odontoiatrici e individuare le priorità di trattamento con l’obiettivo dichiarato di ridurre le malattie orali.

Questi professionisti, alla lettera, non sono medici (per come comunemente s’intende tale Ruolo) ma Odontoiatri.

La valutazione “medico-legale” del danno alla persona, come già l’espressione indica, è invece appannaggio del “medico-legale” ossia del Laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni.

Sul punto, è pur vero che in talune occasioni – come detto in precedenza – la scelta dei magistrati ricade su medici generici oppure su medici in possesso di specializzazioni che nulla hanno a che fare con la stima del danno ma, quanto meno, tali Professionisti sono Medici e per tale motivo chiamati a svolgere la funzione “medico-legale”.

A titolo di esempio, si deve riportare la nomina di laureati in odontoiatria per la valutazione degli esiti di un sinistro con postumi che riguardano i denti e magari un ginocchio. Orbene, sembra di tutta evidenza che un siffatto compito non possa essere affidato a chi “medico non è”.

Anche tali scellerate scelte (di cui è difficile percepire la buona fede ovvero la cattiva fede) contribuiscono ad un progressivo “imbarbarimento” della figura del CTU.

Più specificamente, mentre il laureato in Odontoiatria potrebbe redigere un preventivo per la riabilitazione protesica del danno odontoiatrico, egli già non potrebbe pronunciarsi sul danno biologico permanente da avulsione dentaria né tanto meno, per tornare all’esempio supra citato, ai postumi che interessano il ginocchio…

Anche tali scellerate scelte (di cui è difficile percepire la buona fede ovvero la cattiva fede) contribuiscono ad un progressivo “imbarbarimento” della figura del CTU.

A tal proposito, appare doveroso significare a chi ci legge che, in una vicenda sottoposta al vaglio del GdP di Barra, che vedeva convenuto il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada (FVGS), quest’ultimo patrocinato dallo scrivente avvocato Vizzino, chi riteneva di aver riportato lesioni a causa di un sinistro asseritamente occorso con veicolo privo di copertura assicurativa s’era recato al Pronto Soccorso a distanza di ben tre giorni dall’incidente de quo, peraltro senza sporgere alcuna denunzia-querela alle Autorità competenti; ma…nonostante la difesa del Fondo – finanziato, si badi, coi soldi della collettività! – abbia, tramite apposita eccezione, invitato il Giudicante ad approfondire tale dettaglio, questi ha ritenuto opportuno procedere di testa propria, finendo addirittura con l’ammettere l’articolazione della prova, non tenendo conto del disposto ex art. 590-bis c.p.c. e dell’eccezione a tal uopo formulata dallo Studio.

Un altro caso, non dissimile, s’è verificato innanzi al GdP di Marano: la madre del giovane attore (minorenne), che si doleva d’esser rimasto ferito dopo l’impatto con un veicolo, ha dichiarato di trovarsi sola col figlio al momento del sinistro; ma, tutto a un tratto, è spuntato fuori un testimone, che ha riferito d’aver veduto un veicolo (anch’esso non assicurato) che, percorrendo la carreggiata ben oltre il limite di velocità ivi previsto, colpiva violentemente parte attrice sul lato sinistro, facendola rovinare al suolo, per poi fuggire.

Però, stranamente, il minore non ha riportato danni a sinistra!

Lo Studio Vizzino, difensore incaricato dal FGVS, ha eccepito l’inattendibilità della testimonianza, ma…anche qui al Giudice non è importato alcunché, quindi la causa ha fatto il suo corso e s’è conclusa con la vittoria dell’attore: che obbrobrio!

È chiaro, dunque, che il ruolo del CTU, in veste di arbitro imparziale, con giusta fede prioritaria in ciò che dice rispetto ai consulenti di parte, debba essere interpretato non solo da professionisti con conclamata esperienza professionale clinica, poiché tale esperienza diventa di dubbia utilità laddove non venga resa compiutamente, mediante la dominante conoscenza, alle necessità di giustizia. 

In ultimo si deve sensibilizzare sull’aspetto economico, che sta impedendo il sereno svolgimento delle attività d’ufficio in tutti gli ambiti, abbassando la qualità e producendo un allontanamento dello specialista da questo tipo di attività. 

D’altronde se il ruolo d’ufficio cui verte il maggiore degli oneri, non solo deontologici, ma in termini di prestazione d’opera viene riconosciuto sulla scorta di tabelle stipulate in lire e mai riviste (soprattutto in penale l’attuale valore di un’autopsia è al massimo di 387,86 euro lordi pagati a distanza di 2 anni), cosa ci si potrà mai attendere? 

Va evidenziato, altresì, che gli Uffici Giudiziari – in totale spregio alla disciplina legislativa di settore – non eseguono i dovuti controlli circa le effettive qualifiche di chi aspira a ricoprire il ruolo di CTU in determinate cause: è mai possibile che ad uno specialista maxillo-facciale sia affidata la consulenza d’ufficio in una causa delicata in materia di riconoscimento dell’invalidità, o che un ostetrico-ginecologo sia nominato perito d’ufficio in controversie attinenti ai postumi di un sinistro?

Eppure…questo si verifica molto frequentemente, dando luogo a conseguenze che rischiano di capovolgere l’esito di un giudizio (determinando la soccombenza di chi, in base a prove tangibili e dati oggettivi, sembrava aver palesemente ragione). 

Nei giorni scorsi, i professionisti dello Studio Vizzino hanno formulato, nel corso di un’udienza innanzi al Giudice di Pace, un’eccezione che, probabilmente, farà scuola: difatti, una volta appreso che il Magistrato Onorario aveva nominato CTU un professionista medico, costoro hanno giustamente obiettato che questi non solo non aveva le competenze per periziare in un caso come quello sottoposto alla cognizione del Giudice, ma non risultava neppure in possesso della qualifica di medico-legale. Il GOP, preso atto della tesi suffragante tale obiezione, ha accolto quest’ultima senza batter ciglio.

Non meno evidenti sono le problematiche che concernono la inosservanza delle disposizioni che codificano il principio della turnazione nello svolgimento degli incarichi, la qual cosa, non solo lede le legittime aspettative degli esperti regolarmente iscritti agli albi e portatori delle specifiche competenze richieste, ma soprattutto favorisce la creazione e la perpetuazione – spiace evidenziarlo- di rapporti privilegiati tra Giudici e Consulenti in chiaro spregio del principio di trasparenza.
In alcuni casi anche con grave pregiudizio del diritto di difesa delle parti nel giudizio.
Eppure, giova rammentarlo, la legge Gelli- Bianco, al comma 3 dell’art.15, prevede che gli albi dei consulenti debbano essere aggiornati ogni 5 anni e, che in sede di revisione, ai sensi del comma 2, deve essere indicata, relativamente a ciascuno degli esperti, l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati.
È palese, quindi, che il Legislatore se da un lato ha stabilito che è fondamentale la figura del medico–legale ai fini di un parere tecnico necessario alla decisione del Giudice, dall’altro ha espresso, mediante l’obbligo previsto in capo ai consulenti di ufficio di indicare il numero e la tipologia degli incarichi ricevuti e revocati, l’esigenza di garantirne sia la competenza sia la loro indipendenza ed autonomia rispetto ai Giudici, diversamente la CTU resa è inutilizzabile e rallenterebbe solamente l’esito del giudizio.

E’ opportuno sottoporre alla attenzione del lettore anche ciò che avviene al Giudice di Pace di Nola poiché, purtroppo, la non curanza dei Giudici circa la documentazione prodotta ed allegata dalle parti nei rispettivi giudizi, porta ad una decisione finale completamente ingiusta ed in contrasto con il diritto vigente. Infatti, lo scrivente ci tiene a raccontare di un episodio piuttosto spiacevole avvenuto di recente negli uffici del Giudice di Pace di Nola, che ha coinvolto, purtroppo, la compagnia assicurativa Generali Italia S.p.a. Nel caso di specie alla suddetta compagnia veniva notificato ricorso ex art. 696 bis c.p.c., che si è rivelato essere del tutto inammissibile difettando oltre che della finalità conciliativa, anche di tutta la documentazione necessaria a supporto della pretesa di controparte. La giurisprudenza di merito, ormai consolidata, ritiene inammissibile il rimedio di cui all’art. 696 bis c.p.c. nel caso in cui sia controverso l’an della prestazione, in quanto il presupposto della consulenza tecnica preventiva ai fini conciliativi è la sussistenza del fumus bonis iuris, e non può spingersi sino a surrogarsi nell’attività propria del giudice di merito, a meno di non trasformare l’istituto di cui all’art. 696 bis c.p.c. in una procedura ibrida, la cui risoluzione della controversia sarebbe in parte affidata alle decisioni del giudice e, nel residuo, alle valutazioni del C.T.U., replicando sostanzialmente il modello del giudizio di merito e stravolgendo le finalità della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. Il giudice deve procedere ad una deliberazione positiva circa l’ammissibilità, la rilevanza e l’utilità della consulenza, in relazione alla materia del contendere (cfr, TRIB. Milano 30.6.201, Trib. Milano 27.4.2009), al fine di evitare gli abusi a cui l’istituto della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite presterebbe, nel caso in cui fosse preclusa al giudice l’effettuazione di tale controllo. (cfr Trib. Di Caltagirone, 2.10.2020). Nel caso di specie, accadeva l’esatto opposto rispetto a quanto affermato dalla giurisprudenza di merito, ed il giudice adito accoglieva il ricorso notificato alla Generali Italia s.p.a. ai sensi dell’art 696 bis c.p.c., pur essendo privo di documentazione a supporto della tesi del ricorrente (che il giudice, tra l’altro, ha omesso di verificare) e pur essendo completamente in contrasto con la giurisprudenza prevalente. Per quanto lo scrivente abbia provato ad allegare una precedente ordinanza, resa dallo stesso ufficio del giudice di pace, ma da un giudice diverso, con cui chiaramente veniva rigettato in precedenza un ricorso formulato ai sensi dell’art 696 bis c.p.c., privo dei requisiti precedentemente formulati, il giudice adito per il caso di specie summenzionato, la ignorava e tendeva ad accogliere, invece le argomentazioni di parte ricorrente.

Com’è ovvio, lo scrivente non poteva rimanere impassibile dinanzi tale atteggiamento. Ed è per tale ragione che provvedeva immediatamente a presentare un esposto al Presidente del Tribunale per denunciare l’accaduto.

Tutti questi spiacevoli eventi tendono a contribuire notevolmente non solo all’ impoverimento della difesa ma anche ad un rallentamento della giustizia.

Anche la riforma c.d. Cartabia ha contribuito notevolmente all’evoluzione del processo ma ….non certo in meglio.

Infatti, l’intento politico di riduzione dei tempi processuali “garantito” dalla riforma si rivela essere un vero e proprio buco nell’acqua se si tiene conto del fatto che, purtroppo, la riforma, non semplifica, bensì complica e formalizza i problemi legati all’esercizio del diritto di difesa.

È ancora più triste appurare che i primi a non difendere la categoria sono proprio gli avvocati stessi che, ormai, delusi da un sistema che non li vede tutelati…si arrendono di fronte a questo scenario terribile, svendendosi e svolgendo lavori completamente a titolo gratuito solo al fine di accaparrarsi la clientela e promuovere cause di ogni natura.

Eppure, tempo addietro, l’avvocato tendeva ad esercitarsi per anni scrivendo a mano atti e pareri volti a dimostrare la migliore strategia difensiva posta a tutela dell’assistito…oggi, invece, oltre che lavorare gratis, la ricerca che anni fa tendeva a fare sui codici, avviene su internet.

Ma v’è dell’altro!

Con l’avvento del processo telematico…i Giudici sono sempre meno inclini a leggere con attenzione atti e documenti, di talché il team Vizzino ha formulato un esposto contro il Giudice di Pace di Nola in merito all’ammissione di un accertamento tecnico preventivo (ATP) da quest’ultimo disposta sulla base…non si sa di cosa (tra l’altro, il GdP in questione ha risposto, in udienza, di non essere legittimato ad entrare nel merito di tale vicenda).

Con l’avvento del processo telematico…i Giudici sono sempre meno inclini a leggere con attenzione atti e documenti, di talché il team Vizzino ha formulato un esposto contro il Giudice di Pace di Nola in merito all’ammissione di un accertamento tecnico preventivo (ATP) da quest’ultimo disposta sulla base…non si sa di cosa (tra l’altro, il GdP in questione ha risposto, in udienza, di non essere legittimato ad entrare nel merito di tale vicenda).

Inoltre, complici i plurimi guasti che interessano il sistema, i tempi di definizione delle singole cause diventano ancor più biblici: la Magistratura di Pace, infatti, se ne lava le mani, limitandosi a rinviare la causa ad un’udienza che, se tutto va bene, si celebrerà a distanza di un anno.

I Giudici, però, han dimenticato che una condotta del genere – oltre a costituire fonte di responsabilità magistratuale secondo la Legge n. 117/1988, come modificata dalla L. 18/2015, quest’ultima fortemente voluta da Renzi – è suscettibile di comportare, in capo allo Stato, notevoli esborsi laddove le parti, comprensibilmente stremate, propongano il giudizio d’equa riparazione (ex L. 89/2001, meglio nota come Legge Pinto) e lo vincano: questo cagiona, dunque, un danno erariale, ragion per cui…ben potrebbe accadere che i contendenti, attraverso i propri difensori, si rivolgano alla Corte dei Conti.

Si parla tanto di un miglioramento qualitativo dello stile di vita dell’avvocato, a seguito della digitalizzazione, ma come può esercitarsi correttamente questa professione se non si è più abituati a pensare, a ricercare dettagliatamente le norme da applicare al caso di specie e ne tanto meno si è più abituati vedere quella che un tempo era la vera e propria arringa processuale? Un arringa fatta di passione, cultura e strategia che metteva i diritti del cittadino al primo posto e che rendeva l’avvocato un vero e proprio portatore di giustizia. Una giustizia che si faceva valere, che si faceva sentire a gran voce e che ad oggi, invece, sembra quasi non esistere più.

Di non minore importanza sono le questioni relative alle truffe che, da lustri, vengono messe in atto tutte le volte in cui si convengono in giudizio le compagnie assicurative e/o quelle cui – in barba alla Legge – viene demandato dagli enti impositori il còmpito di riscuotere le somme non corrisposte dai contribuenti: ebbene, una condotta del genere non solo compromette l’efficienza del sistema giudiziario, ma penalizza, guarda caso, proprio gli assicurati e la collettività nel suo complesso.

Avvalersi di società private per riscuotere somme dovute agli Enti pubblici non è affatto lecito, poiché le suddette godono ancora dell’aggio (a differenza dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, istituita da una legge voluta dall’allora Governo Renzi). Esemplificando, ciò comporterebbe un esborso notevole in capo all’Erario, ragion per cui la Corte dei Conti andrebbe coinvolta anche in tale ipotesi.

E che dire della lievitazione…esponenziale che interessa, anno per anno, i premi assicurativi? È incontrovertibile che la stessa costituisce il risultato delle condotte truffaldine dei già citati Mangiafoco, abili nell’inventarsi di tutto per intascarsi quattrini per danni in realtà mai patiti.

In virtù di ciò, gli scriventi reputano opportuno appellarsi ai Lettori affinché segnalino, scrivendo all’indirizzo e-mail denunciolatruffa1@gmail.com, tutti i soprusi asseritamente subìti da Giudici e difensori di “pesci grossi” e, al contempo, si propongono di far istituire un Osservatorio sulle Truffe all’interno degli Uffici Giudiziari, proprio per evitare che si continui a giocare sporco ed a nuocere, quindi, al buon nome della nostra Repubblica – ove, come noto, continua a farla da padrona una Giustizia…che non c’è, in quanto strumentalizzata a proprio piacimento da taluni -, la quale deve continuare ad essere uno stato sociale di diritto.

Se lo Stato non provvede ad istituire un’Autorità garante contro truffe e soprusi…è d’uopo – anche dal punto di vista morale – schierarsi in prima linea per tutelare l’interesse della collettività. Esemplificando, la Giustizia che non c’è danneggia i cittadini onesti e i contribuenti. Solo un recupero di etica dei comportamenti e di efficienza La potrà salvare.

Adriano J. Spagnuolo Vigorita

(giurista, saggista, abilitato all’avvocatura)

 Avv. Riccardo Vizzino

 Responsabile nazionale di Civicrazia contro le truffe assicurative

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