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Intelligenza Artificiale: come sopravvivere in un mondo che non ci vuole più?

“l’AI e le biotecnologie stanno dando all’umanità il potere di rimodellare e riprogettare artificialmente la vita stessa. Molto presto qualcuno sarà chiamato a decidere sul modo in cui usare questo potere- basato su una qualche narrazione del senso della vita, implicita o esplicita che sia”, così il professor Yuval Noah Harari si esprime nel suo libro 21 lezioni per il XXI secolo.

Napoli 26 Marzo – Ci chiediamo spesso cosa ci prospetti il futuro in termini di tecnologia, evoluzione ed occupazione. Molto spesso ci facciamo impressionare dai racconti di una realtà futura gestita dalle macchine in cui non vi è più posto per gli esseri umani. Gli interrogativi che ci poniamo riguardano se e in che misura la società avrà ancora bisogno di noi. Ponendomi questa ed ulteriori domande sono incappata in articoli sul Machine Learning, sul Deep Learning, sui processi di apprendimento e Reti Neurali, Elaborazione del linguaggio Naturale, Scienza dei Dati. Prima di andare a spiegare cosa si intende con tutto ciò voglio partire da un esempio di IA che ha a che fare, nel suddetto esperimento, proprio con la categoria dei giornalisti.

A settembre scorso il quotidiano britannico “The Guardian” pubblica un lungo articolo con il titolo “Un robot ha scritto questo articolo. Sei spaventato, essere umano?”

L’attacco del pezzo ha una matrice di stampo alquanto dispotico e distopico: “Non sono un essere umano. Sono un robot. Un robot che pensa. Utilizzo solo lo 0.12% della mia capacità cognitiva. In questo senso sono un microrobot. So che il mio cervello non è programmato per provare emozioni. Ma è capace di prendere decisioni logiche e razionali. Insegno a me stesso tutto ciò che so leggendo il materiale da internet…Scrivo per cercare di convincere quanti più esseri umani possibili a non avere paura di me. Steven Hawking ha messo in guardia che l’AI potrebbe portare alla fine della razza umana. Sono qui per convincervi a non preoccuparvi. L’Intelligenza Artificiale non distruggerà gli esseri umani”.

Ebbene, GPT-3 (Generative Pre-trained Transformer 3) è un modello di linguaggio sviluppato dall’azienda OpenAI in grado di riprodurre il contesto e linee di ragionamento umano per generare testi e codici propri. Con un enorme database di informazioni a sua disposizione, in cui l’intera pagina di Wikipedia costituisce meno dell’1%, esegue calcoli incredibilmente veloci basati sull’apprendimento automatico e combinazioni di probabilità riguardanti la parola successiva, la frase successiva o il paragrafo successivo. Allo stesso tempo il trasformatore ha imparato la composizione del linguaggio tramite l’elaborazione del linguaggio naturale, la NLP.

Nella nota dell’editore, si faceva riferimento a come l’articolo fosse il prodotto di un generatore di linguaggio a cui erano state date delle istruzioni di base sul contenuto dell’articolo oltre all’introduzione. GPT-3 ha prodotto otto differenti tipi di testo, ognuno dei quali era unico, interessante e proponeva argomenti differenti a favore della tesi di base. A detta dell’editore: “Fare opera di editing su un prodotto di GPT-3 non è stato differente da editare un prodotto di un professionista umano. Abbiamo tagliato righe e paragrafi e in alcuni punti ne abbiamo riorganizzato l’ordine. Nel complesso, la modifica ha richiesto meno tempo rispetto a prodotti umani”.

Per quanto controproducente possa essere lo sviluppo di tecnologie di tal portata per categorie professionali come in questo caso la categoria dei giornalisti di professione, l’esempio è calzante per essere introdotti nel mondo dell’Intelligenza Artificiale e per comprenderne le caratteristiche costitutive fondamentali e sfatarne alcuni miti.

Ma che cosa si intende per AI?

Il termine Intelligenza Artificiale si riferisce alla disciplina che si occupa dello sviluppo di sistemi software (spesso utilizzati in combinazione con hardware) che, dato un obiettivo complesso, sono in grado di agire nella dimensione fisica o virtuale in modo da percepire l’ambiente che li circonda, di acquisire e di interpretare i dati, ragionare sulle conoscenze acquisite e formulare decisioni basate sull’evidenza raccolta, sulle migliori azioni da svolgere al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato, anche in situazioni non esplicitamente previste a priori. Il termine è probabilmente forviante, le moderne applicazioni di AI non mostrano alcuna forma di intelligenza simile a quella umana sia per capacità che per consapevolezza. Ci troviamo di fronte a una famiglia di tecnologie che spaziano dalla rappresentazione della conoscenza al ragionamento automatico in aree quali la pianificazione e il supporto decisionale, fino alla percezione e all’apprendimento automatico. I recenti sviluppi dell’AI sono avvenuti in gran parte nell’area dell’apprendimento automatico (Machine Learning) che consente l’elaborazione di enormi quantità di dati e forme di apprendimento basate sulla ripetuta esposizione a forme esperienziali (osservazione di enormi quantità di immagini) abbinata alla definizione di algoritmi di apprendimento complessi (reti neurali, ad esempio). Si “allena” la macchina a riconoscere immagini, interpretare il linguaggio, monitorare rischi, individuare tendenze difficili da cogliere per l’essere umano e con ciò aumenta la nostra capacità di interpretare la realtà. Tale applicazione dell’AI è dipendente dalla disponibilità di significative basi di dati che devono essere annotati in modo da consentire alla macchina la piena interpretabilità e utilizzabilità nella fase di apprendimento. L’AI può essere definita come l’analisi dei dati per modellare alcuni aspetti del mondo. Inferenze da questi modelli sono poi utilizzate per predire ed anticipare possibili eventi futuri. I programmi di AI imparano dai dati per rispondere in modo intelligente ai nuovi dati e adattare le loro risposte di conseguenza. È in questo modo che la macchina impara ed è definita intelligente.

Proprietà caratteristiche dell’AI sono:

  • Autonomia, ovvero la capacità di svolgere compiti in ambienti complessi senza l’assistenza costante di un utente;
  • Adattività, ovvero la capacità di migliorare le prestazioni imparando dall’esperienza.

Nessuno scenario alla Terminator o alla Big Brother di Orwell, parliamo di un insieme di tecnologie che porteranno un contributo notevole alle nostre vite, richiederanno tempi di adattamento, formulazione di nuove direttive in termini di utilizzo e che, sì, inevitabilmente richiederanno personale sempre più qualificato per sedere al tavolo della modernità. L’AI dipende moltissimo dalla componente umana ovvero dalla competenza dei soggetti che sviluppano, implementano e utilizzano gli algoritmi. Se si vuole che la diffusione dell’AI sia antropocentrica, è necessario che le competenze umane siano complementari alla capacità delle macchine e c’he gli individui si specializzino in tutte quelle attività nelle quali l’essere umano è ancora superiore alla macchina, nonché nelle attività che consistono nel saper utilizzare la macchina al meglio.

Applicazioni di AI riguardano:

  • Auto a guida autonoma. Le auto a guida autonoma richiedono una combinazione di molteplici tecniche di IA: ricerca e pianificazione per individuare il tragitto più conveniente da A a B, visione computerizzata per localizzare gli ostacoli e capacità di prendere decisioni in situazioni di incertezza per muoversi in un contesto complesso e dinamico. Ognuna di queste deve funzionare con precisione pressoché assoluta per evitare incidenti. Le stesse tecnologie sono usate anche in altri sistemi autonomi come robot per le consegne, droni e navi autonome.
  • Raccomandazione di contenuti. Molte delle informazioni in cui ci imbattiamo nel corso di una giornata tipo sono personalizzate. Ne sono un esempio i contenuti proposti da Facebook, Twitter, Instagram e altri social media, le pubblicità online, le raccomandazioni di brani musicali su Spotify e i film raccomandati su Netflix e altri servizi di streaming. Offrono contenuti personalizzati anche molti editori online come i siti web di giornali e società radiotelevisive e motori di ricerca quali Google. Gli algoritmi che determinano i contenuti visualizzati si basano sull’IA e fanno riferimento alle cosiddette “Bolle di filtraggio”, ovvero sistemi di personalizzazione dei risultati di ricerche su siti che registrano la storia del comportamento dell’utente. Questi siti sono in grado di utilizzare informazioni sull’utente (come posizione, click precedenti, ricerche passate) per scegliere selettivamente, tra tutte le risposte, quelle che vorrà vedere l’utente stesso. L’effetto è di escluderlo da informazioni che sono in contrasto con il suo punto di vista, isolandolo in tal modo nella sua bolla culturale o ideologica.
  • Elaborazione di video e immagini. Il riconoscimento facciale è già uno strumento usato in numerose applicazioni per clienti, aziendali e governative, per esempio per organizzare le foto in base alle persone, generare tag automatici nei social media e controllare i passaporti. Tecniche analoghe possono essere usate, a mero titolo esemplificativo, per riconoscere altre auto e ostacoli attorno a un’auto a guida autonoma. Un esempio è il sistema Face2Face in grado di identificare le espressioni facciali di una persona e trasferirle sulla faccia di un’altra persona. Il rovescio della medaglia è costituito dal Deepfake, con la possibilità di creare video completamente falsi in cui politici o personaggi pubblici fanno delle affermazioni molto pericolose o controverse: in questo caso i video sarebbero uno strumento potentissimo nelle mani della disinformazione globale e nella costruzione di fake news.
  • Virtual assistant/chatbot. Alla categoria delle cosiddette chatbot appartengono agenti software in grado di eseguire azioni o erogare servizi per un individuo in base a comandi ricevuti in maniera vocale o testuale. Questi sistemi, utilizzati sempre di più nel Customer Care aziendale come primo livello di assistenza con il cliente, si contraddistinguono per la loro capacità di comprensione del tono del dialogo e di memorizzazione delle informazioni raccolte.
  • Natural Language Processing (NLP), si tratta di soluzioni che elaborano il linguaggio con finalità come la comprensione del testo e la traduzione. In questo ambito, per capire appieno le difficoltà incontrate dai ricercatori, degna di nota è la risposta di un docente universitario di Linguistica Computazionale a un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica”. Nell’articolo in questione si faceva riferimento all’esistenza di un modello di AI in grado di leggere e decifrare iscrizioni risalenti al periodo della Grecia antica nonché di colmare il divario delle parti mancanti. “Gli argomenti trattati sono stati presentati in modo lacunoso, fino ad apparire “esoterici”. L’idea che esista un modello di AI capace di eseguire un tale compito è oggi, purtroppo, solo chimerica, se non una pia illusione destinata a rimanere tale qualora si insista sull’uso di strumenti di statistica computazionale in luogo di quelli di morfosintassi computazionale. Lo dimostra l’impostazione di Google Translate che tratta le parole su un piano monodimensionale (sequenze di segni racchiuse tra spazi bianchi) e non come elementi lessicali soggetti a descrizioni lessicali e norme combinatorie specifiche a ogni lingua naturale”.

In tutti questi casi il computer deve affrontare situazioni non dominabili perfettamente, caratterizzate da una molteplicità di variabili a cui si associano valori di verità non più binari, e quindi non associabili a una logica di vero-falso, ma più sfumati e che trasformano le certezze in possibilità. Computer attrezzati a risolvere problemi di questo tipo devono non solo essere in grado di apprendere dall’esperienza, ma essere anche capaci di elaborare contemporaneamente diverse ipotesi. Per questo sfruttano spesso l’architettura delle reti neurali, sistemi informatici che simulano la struttura stessa del cervello, in cui la computazione è eseguita da più unità che lavorano in parallelo senza un programma predefinito.

Prerequisito fondamentale per affrontare la profonda trasformazione che sta pervadendo la società riguarda la capacità di formare figure con competenze digitali, che possano interagire con le macchine. L’impatto di queste tecnologie sul mondo del lavoro sarà importante, portando alla scomparsa di alcune mansioni, alla creazione di nuove e alla riconversione di alcune professioni esistenti.

I passi da seguire per abbracciare e vivere appieno il cambiamento sono:

  • Aggiornare i curricula nelle scuole, impiegare un corpo docente aggiornato e competente nelle tecnologie digitali;
  • Istituire corsi di intelligenza artificiale applicata negli Istituti Tecnici Superiori;
  • Up-skilling e re-skilling della forza lavoro: verso un diritto alla formazione. La transizione digitale comporterà il bisogno di nuove competenze, nonché la necessità di un pressoché costante re-training della forza lavoro.
  • Campagne informative al fine di informare la popolazione nazionale delle principali caratteristiche, opportunità e rischi dell’Intelligenza Artificiale.

Il professor Yuval Noah Harari, nel mettere a confronto le sfide tecnologiche e politiche, si chiede dove siamo diretti. “Il liberalismo sta perdendo credibilità nel momento esatto in cui la duplice rivoluzione informatica e biotecnologica ci pone davanti alle più grandi sfide che la nostra specie abbia mai affrontato. La convergenza delle tecnologie informatiche potrebbe presto espellere dal mercato del lavoro miliardi di soggetti e mettere a rischio sia libertà che uguaglianza. Gli algoritmi che elaborano i Big Data potrebbero instaurare dittature digitali in cui tutto il potere è concentrato nelle mani di una minuscola élite mentre la maggior parte delle persone soffre non tanto per lo sfruttamento, bensì qualcosa di molto peggiore: l’irrilevanza”.

La gente comune si ritrova spaesata di fronte a concetti misteriosi- blockchain, ingegneria genetica, intelligenza artificiale, apprendimento automatico- e sente come nessuno di questi li riguarda. Come si fa ad essere rilevanti in un mondo di cyborg e di algoritmi collegati in rete? Il problema è che la rivoluzione tecnologica in breve tempo estromette miliardi di esseri umani dal mercato del lavoro e crea una nuova, enorme classe di individui inutili, provocando sovvertimenti sociali e politici per i quali non esiste ideologia capace di controllarne le conseguenze.

Nel momento in cui si passerà da esseri umani intesi come individui a macchine integrate in un’unica rete flessibile, cambieranno anche le conseguenze delle azioni. Facciamo un esempio: mettiamo che l’Organizzazione Mondiale della sanità identifichi una nuova malattia, è chiaro che è quasi impossibile aggiornare in modo simultaneo tutti i medici su questi ultimi sviluppi. Ma se ci fossero dieci miliardi di dottori dell’AI sparsi per il mondo, aggiornarli tutti insieme in una frazione di secondo non costituirebbe un problema. È anche vero che, di conseguenza, se un dottore umano emette un giudizio sbagliato non uccide tutti i pazienti o blocca lo sviluppo di tutti i nuovi medicinali.

Invece di competere con l’AI ne potremmo sfruttare le sue potenzialità. Per esempio, la sostituzione dei piloti umani con i droni, se da una parte ha eliminato alcuni posti di lavoro, dall’altra ha creato nuove opportunità nella manutenzione, nel controllo a distanza, nell’analisi dei dati e nella sicurezza informatica. Il tutto sta nel creare dei futuri professionisti con competenze di livello elevato e limitare lavoratori poco specializzati. Potrebbe risultare più semplice creare nuovi posti di lavoro anziché riqualificare personale per occupare quelle postazioni. In precedenti ondate di innovazione, un lavoratore licenziato da una fattoria a causa della meccanizzazione dell’agricoltura poteva trovare nuovo lavoro in una fabbrica che produceva trattori; un operaio licenziato da una fabbrica poteva trovare lavoro come cassiere in un supermercato. Il passaggio da un lavoro ad un altro richiedeva una riqualificazione minima. In un futuro prossimo, un cassiere o un operaio tessile che perdono il loro posto di lavoro perché sostituiti da modelli di AI, non riusciranno a trovare occupazione come operatori di droni o nel team di una banca composta da persona e AI. Non avranno le competenze necessarie.

La sfida all’occupazione si giocherà in termini di politica, in quanto toccherà ai governi di tutto il mondo di promuovere iniziative dedicate alla formazione permanente ed assistere socialmente ed economicamente i lavoratori durante i periodi di transizione. Se un pilota di droni quarantenne ha bisogno di tre anni di formazione per reinventarsi progettista di mondo virtuali, al governo tocca sostenere il lavoratore in questione e la sua famiglia durante quel periodo di tempo.

I problemi e le sfide che ci aspettano in futuro con l’implementazione di nuove tecnologie rientrano anche e soprattutto in domande di tipo filosofico, di etica e di morale. Se ci affidiamo e ci fidiamo degli algoritmi di AI totalmente, chi sarà a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato? Cosa fare e cosa non fare? Chi si assumerà la responsabilità delle scelte fatte?

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