Napoli, 16 Dicembre – In un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale, dalle tecnologie in continua evoluzione e dall’iperconnessione, il fascino dei classici e delle lingue antiche – latino e greco – potrebbe sembrare un relitto del passato. Eppure, è proprio guardando indietro, verso le radici della nostra cultura, che possiamo trovare le chiavi per interpretare e affrontare il presente con profondità e consapevolezza.
Latino e greco non sono semplicemente lingue morte, come si tende a dire con una punta di superficialità: sono veicoli di idee, valori e intuizioni che continuano a influenzare la nostra società. Dal diritto romano alla filosofia greca, dalla retorica ciceroniana al teatro di Euripide, questi mondi antichi ci insegnano che la storia umana è fatta di domande che, in fondo, rimangono sempre le stesse: Chi siamo? Cosa è giusto? Qual è il senso della vita? La modernità, nel suo slancio frenetico, rischia di dimenticare questa continuità. Comprendere i classici significa comprendere la nostra origine. Non possiamo parlare di democrazia senza fare riferimento ad Atene, né di diritto senza Roma. Non possiamo immaginare una riflessione sull’etica senza Platone e Aristotele, o discutere di poesia e tragedia senza Virgilio e Sofocle. Uno degli insegnamenti più preziosi che i classici offrono è la capacità di affrontare la complessità.
In un mondo spesso ridotto a slogan e semplificazioni, leggere il De rerum natura di Lucrezio o l’Odissea di Omero ci costringe a riflettere su temi complessi e ad analizzarli da diverse prospettive. Ci ricordano che non esistono risposte semplici alle grandi domande della vita. Le lingue antiche, inoltre, formano il pensiero critico: tradurre un testo latino o greco non è solo un esercizio linguistico, ma una sfida interpretativa. Ogni parola ha un peso, ogni struttura sintattica richiede attenzione. Questo allenamento al ragionamento analitico ci aiuta a sviluppare competenze utili anche nel mondo contemporaneo, dall’informatica alla filosofia, dal diritto alla medicina. Studiare i classici significa anche rallentare, prendersi il tempo per immergersi in una realtà distante e diversa dalla nostra. In un’epoca in cui le informazioni si consumano velocemente, dedicarsi alla lettura di Tucidide o alla meditazione sui versi di Catullo diventa un atto rivoluzionario. Questa immersione non è solo un esercizio culturale, ma un antidoto alla superficialità.
Ci ricorda che siamo parte di un dialogo millenario, che le nostre esperienze non sono uniche, ma si intrecciano con quelle di chi ci ha preceduto. Il grande filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer sosteneva che la comprensione del passato è fondamentale per interpretare il presente. La nostra modernità è figlia di quel mondo antico che continua a parlarci, se siamo disposti ad ascoltarlo. Termini come crisi, economia e persino pandemia hanno radici greche; concetti come libertas e res publica derivano dal pensiero romano. La lingua stessa che parliamo è intrisa di tracce antiche. Tuttavia, non si tratta di idolatrare il passato, ma di usarlo come strumento per il presente. Gli antichi, con il loro sguardo acuto e universale, possono guidarci nel navigare i dilemmi contemporanei: dalle sfide etiche legate alla tecnologia alle questioni politiche globali.
Spesso si pensa che il latino e il greco siano un lusso intellettuale, riservato a pochi. Nulla di più falso. I classici appartengono a tutti, perché parlano dell’essere umano nella sua essenza. Non importa quanto lontani siano, Omero e Virgilio raccontano storie che ancora ci toccano: amore, guerra, speranza, perdita. Investire nello studio delle lingue antiche e nella cultura classica non è un atto nostalgico, ma un impegno verso il futuro. È un modo per formare cittadini più consapevoli, capaci di leggere il mondo con uno sguardo critico, profondo. Come disse Marguerite Yourcenar, “Costruire il futuro senza conoscere il passato è come piantare alberi senza radici”. In un mondo che guarda sempre avanti, i classici ci invitano a fermarci, riflettere e trovare nel passato il nutrimento per crescere. Solo chi conosce le proprie radici può volare alto. E forse, il futuro più innovativo sarà quello che avrà il coraggio di dialogare con il passato.
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