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IL PUNTO DI DIRITTO – Passatevi una mano sulla coscienza!

Napoli, 23 Giugno – Ieri, poco prima che mi distendessi per la siesta pomeridiana, mi giunge una notifica sul cellulare: era un caro amico, il quale, attraverso Whatsapp, m’aveva trasmesso il link che rimandava ad una notizia, pubblicata su FanPage, a dir poco avvilente (anzi, irritante).

Protagonista dell’articolo in parola era una giovane della Campania, dottoressa in giurisprudenza, il cui sogno nel cassetto era trovar ventura come avvocato, sebbene tale professione, complice una serie di circostanze, stia attraversando un momento di crisi.

Ebbene, facendo fede a quanto costei ha coraggiosamente testimoniato, realizzare un sogno del genere è oggigiorno una chimera, a fronte tanto di una legislazione obsoleta in materia quanto della condotta scorretta tenuta da parecchi titolari di studio, in totale spregio al Codice Deontologico Forense: la ragazza in questione – cui va tutto il mio sostegno, com’è ovvio – non solo veniva spremuta come un’arancia dal proprio dominus (termine che, in gergo tecnico, designa il professionista presso cui si svolge il tirocinio), ma era, altresì, costretta a svolgere un’ulteriore attività lavorativa per mantenersi, atteso che il cennato conlega maior aveva le braccia un tantino troppo corte. Più precisamente, costui, malgrado la giovane avesse fatto notevoli progressi (dunque, era un validissimo supporto per lo Studio tutto), si limitava a darle sì e no qualche «briciola», corrispondendole somme (peraltro, di modico valore) unicamente in prossimità del periodo natalizio e di quello pasquale.

Credetemi, cari Lettori: questo è alquanto frustrante! È mai possibile che, dopo tanti anni di studio indefesso e di lavoro alacerrimo, si debba subire una vera e propria umiliazione? Son d’accordo con chi afferma che il praticante frequenta lo Studio del dominus per apprendere quella che soglio chiamare l’«arte forense», ma a preoccuparmi è il fatto che, in una cospicua pluralità di casi, la pratica finisce col tramutarsi nell’acquisizione di forza-lavoro a basso costo, se non addirittura a costo zero.

Giova in questa sede rammentare che, ai fini della validità del tirocinio, è sufficiente che l’aspirante avvocato sia presente presso lo Studio (ovvero lavori – anche a distanza – a quanto assegnatogli dal maestro) per almeno venti ore settimanali, e che assista ad un numero di udienze non inferiore a venti per trimestre (il periodo di pratica è pari a diciotto mesi, ndr).

La lezioncina di diritto non intendo farla, tranquilli; mi sento, però, in dovere di spronare i giovani giuristi a non abbattersi, a non perdere la speranza, a continuare per la propria strada: l’Avvocatura non è una «mission impossible», ma una nobilissima professione che i meritevoli possono tranquillamente esercitare, nonostante le evidenti difficoltà dei tempi attuali.

L’atteggiamento dei domini si rivela sovente contrario alle disposizioni di Legge, ragion per cui invito i giureconsulti del futuro a far valere i propri diritti, rivolgendosi – in prima istanza – al competente Consiglio dell’Ordine, oppure – nei casi più gravi – all’Autorità Giudiziaria.

Non possiamo permettere che si lasci la professione a causa di qualche negriero e, al contempo, dobbiamo batterci affinché vengano riscritte da cima a fondo le leggi che ne regolano l’esercizio, con particolare riguardo al fatidico nodo della monocommittenza (che si sostanzia, il più delle volte, nell’esercitare per conto di un solo Studio, senza avere cause proprie).

Vogliamo garantire un avvenire all’Avvocatura? Apriamo gli occhi…ed anche la bocca!

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