Napoli, 6 Luglio – L’avvocatura rappresenta, per me, non solo il lavoro (che i miei conterranei denominano, impropriamente, “fatic’”), bensì anche qualcosa che infonde passione, dunque un’autentica missione al servizio di chi, per svariati motivi, mi si rivolge per cercare aiuto: fa parte, in altri termini, del mio essere.
Uno dei connotati fondamentali del diritto è fuor di dubbio la storicità, la qual cosa fa sì che, con il decorso dei lustri, i sistemi giuridici vadano soggetti a bruschi e plurimi mutamenti, costituenti il frutto della volontà, diretta o mediata, di un popolo; il problema, di portata senz’altro notevole, è rappresentato dalla costante riluttanza ad accettare ogni sorta di trasformazione e, soprattutto, il soggetto che la pone in essere: esattamente quel che si verificò nei riguardi di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla cui figura Chiara Rosa Cerrone, mia amica fraterna, nonché astro nascente degli studi giusromanistici, ha incentrato una lunghissima ricerca scientifica, culminata con la pubblicazione del volume presentato ieri nella favolosa cornice Puteolana.
Sulla sufficienza di una pagina di quotidiano ad illustrare il contenuto ed i significati di cui il capolavoro di Chiara è intriso v’è senz’altro da dubitare: mi soffermerò, dunque, sul tema della scarsa propensione al cambiamento, ponendone in risalto l’attualità che la contraddistingue.
Lungi dal voler dare avvio ad un mutamento di natura politica, Gesù si fa portavoce di un messaggio, di provenienza divina, teso a promuovere la fratellanza tra le nazioni e, parallelamente, a dimostrare il carattere a dir poco assurdo delle dottrine tramandate dai Farisei, le quali, ancorché fondate sui primi cinque libri dell’Antico Testamento (denominati, nel complesso, la Torah), si traducevano, di fatto, in un insieme di dogmatismi non aventi nulla a che fare con le virtù più rilevanti contemplate dalla lex divina, ossia fedeltà, misericordia e giustizia.
In sintesi, la prassi farisaica può riassumersi con il celebre brocardo popolare “fa’ quel che dico io, ma non agire alla mia maniera!”: era indice, benvero, di lampante ipocrisia, come Gesù stesso palesa nel testo dei Vangeli.
Girando per le vie cittadine, cari Lettori, mi accorgo che la gente, in nome di un presunto “quieto vivere”, è avvezza a non prodigarsi per cambiare in melius le cose: difatti, si sente spesso chi difende l’operato dei guardiamacchine abusivi (pur conoscendone la spietatezza verso chi non li farebbe “lavorare”), oppure di qualche commerciante non certamente “pulito”, senza alcun interesse per la promozione della legalità e del senso civico.
Tale condotta oltremodo indulgente è, in realtà, un cattivo presagio per l’avvenire della nostra società: i giovani d’oggi, per colpa di chi li ha preceduti, corrono il rischio di continuare ad appoggiare dei Barabba, ossia dei malfattori, i quali ultimi rappresentano, invece, un virus letale per la nostra società.
Il processo a Gesù si celebra, purtroppo, ogni giorno: vogliamo, dunque, smetterla con questa politica del lasciar fare, considerata la sua natura deleteria?
Orsù, adoperiamo l’intelletto, e preserviamo i nostri figli dalla catastrofe!
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