Politica

Giustizia, una riforma che non guardi solo alle intercettazioni

Napoli, 6 Gennaio – Come ho già scritto altre volte, parlare di giustizia e delle relative riforme è cosa assai intricata in questo Paese. “È arrivato il momento di smantellare quell’obbrobrio illiberale voluto da Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede, un piccolo avvocato di provincia approdato al ministero della Giustizia nello stesso modo e con gli stessi non meriti con cui il suo compagno Danilo Toninelli divenne ministro delle Infrastrutture.” Alessandro Sallusti, direttore di Libero.

Ed ecco le parole di Nordio sulle intercettazioni nella sua intervista a Libero “Non danno nessuna garanzia di attendibilità perché non sono trascritte nella forma della perizia, sono estrapolate dal contesto, manca il tono, sono spesso pilotate e sono di solito selezionate da un maresciallo di polizia che sceglie ciò che vuole e poi trattate dal pubblico ministero che a sua volte prende quello che gli serve”. Ma una riforma della giustizia non è solo la validità o meno delle intercettazioni. “In questa nazione i giudici non solo sono colleghi dei pubblici ministeri ma, quel che è peggio, si sentono loro colleghi. E ciò rappresenta un problema devastante, al di là e a prescindere dalle decisioni di merito che adottano nelle singole vicende processuali. Il sentirsi colleghi e appartenere alla medesima e unica corporazione produce, infatti, un idem sentire che, inevitabilmente, produce un sentimento comune di vicinanza e di appartenenza che, di fatto, annulla il concetto stesso di terzietà del giudice e lo rende partecipe di una visione distorta della giurisdizione.

Non è un caso, infatti, per esempio, che, per il tramite dello slogan secondo il quale “il processo penale tende a verità e giustizia “, la stragrande maggioranza delle decisioni di rito, attraverso una “interpretazione ” sostanzialista delle norme processuali, sono adottate dai giudici di merito e di legittimità a copertura e rimedio degli obbrobri processuali compiuti dai pm nelle indagini, con ciò vanificando il principio stesso del processo come compendio di regole di garanzia.

In tal modo, di fatto, i giudici si schierano dalla parte dell’accusa e vengono meno alla essenza stessa della propria funzione. Questa situazione colloca l’Italia, quanto a cultura del processo, a livelli di repubblica delle banane. Chissà se il ministro Nordio ha consapevolezza di ciò ed ha intenzione di intervenire con il solo rimedio possibile: attuare l’articolo 107 della Costituzione e,quindi, espellere il pubblico ministero dall’Ordine giudiziario, nel quale non sarebbe mai dovuto entrare.” Luigi Bobbio, magistrato e già senatore della Repubblica.

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