Il trauma alla diagnosi, il complesso processo di elaborazione e la possibile colpevolizzazione
Affinché la voce dei malati rari, delle famiglie, dei caregiver e della ricerca non si spengano
Napoli, 2 Marzo – La giornata dedicata alle malattie rare è trascorsa, ma i problemi strutturali e l’emergenza cronica con cui i malati rari si confrontano ogni giorno continuano. In tal senso, la voce di chi è raro, dei caregiver, delle famiglie e della scienza deve rimanere alta ed udibile, facendo appello al linguaggio della condivisione, della responsabilità collettiva e del prendersi cura, così come espressa da Patch Adams, quando sostiene che “Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia”.
Infatti, le malattie rare, in gran parte, sono croniche, gravi e invalidanti. E possono essere letali, con tassi di mortalità che vanno dal 5 al 30%. Secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni: nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica.
“Le malattie rare croniche richiedono alle famiglie di adattarsi ad una vita molto difficile – spiegano Valentina Fasano, presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia e Marina Melone, direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze, professore di Neurologia dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate – Clinica Neurologica II e Centro Malattie Rare – a partire dalla difficoltà di accedere ad una diagnosi rapida e affidabile, senza dimenticare il peso di terapie quotidiane accessibili solo a costi elevati dovuti alla mancanza di cure rimborsabili. Così i familiari, le donne che spesso si fanno carico della complessità dell’assistenza, senza riposo, senza tregua e senza alcun riconoscimento, diventano invisibili al mondo”.
Equità, pari opportunità e valorizzazione del potenziale sono parole chiave anche dell’Obiettivo Cinque dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, che sembrerebbe essere stata pensato proprio per favorire l’emersione, la presa di consapevolezza e la valorizzazione del ruolo femminile.
Punti cardine: l’eliminazione di ogni forma di violenza e di discriminazione di genere, la valorizzazione del lavoro di cura e la garanzia per tutto il genere femminile di piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità a tutti i livelli del processo decisionale della vita economica, politica, pubblica.
Un’occasione, secondo quanto evidenzia Marina Melone, per non far passare sotto silenzio quello che è e che è stato il ruolo nevralgico delle donne scienziate che hanno saputo testimoniare l’amore per la conoscenza e le donne che, nella malattia, testimoniano il sapere e la cura della vita.
Molti, in questi giorni di emergenza legata al Coronavirus, parlano con una certa superficialità dei pazienti più fragili, quelle persone che hanno già problemi di salute. In realtà quando scrolliamo le spalle, pensiamo non ci riguardi e camminiamo sereni per strada continuando la nostra vita sociale distogliendo lo sguardo da chi, affetto da patologie croniche, malattie rare il più delle volte, fortemente invalidanti lotta ogni giorno per la vita, con innumerevoli difficoltà, contro pregiudizi e barriere sociali.
“È come se fossi stata colpita da uno tsunami”. E’ così che Beatrice, madre di tre figli, ricorda il giorno in cui ha saputo che suo figlio di quattro anni soffriva di distrofia di Duchenne, una malattia neuromuscolare caratterizzata da un’atrofia muscolare in rapida progressione. La malattia è trasmessa dalla madre ai figli maschi e inizia in tenera età, con un’evoluzione inarrestabile.
Lo screening neonatale, uno percorso multidisciplinare di prevenzione primaria, è nell’attenzione dei pediatri. Maria Giuliano, presidente della Società Italiana Medici Pediatri (SIMPe) Campania lavora sulla diagnosi e nella gestione delle malattie rare in età pediatrica. “La SIMPe sta profondendo un grande impegno per promuovere la formazione e l’informazione dei medici pediatri e le attività di ricerca clinica, in collaborazione multidisciplinare. Una diagnosi precoce è uno strumento di equità e rispetto per chi grazie ad una conoscenza tempestiva della sua patologia può vedere tutelato il suo diritto alla vita e alla cura”.
E’ importante che attraverso i mezzi messi a disposizione dal mondo della comunicazione e dell’informazione, l’universo delle malattie rare, in particolare declinato al femminile, faccia sentire la sua voce.
“Dopo la diagnosi ha inizio un vero e proprio viaggio di scoperta – spiega Chiara Magaddino, formatrice Famiglie SMA – da intraprendere insieme, in cui i genitori devono comprendere ed accettare i bisogni specifici del figlio, così come l’inevitabile cambio nello stile di vita. E’ necessario, infatti, essere consapevoli che il proprio figlio avrà necessità di un’assistenza complessa, con importanti differenze da soggetto a soggetto, una complessità che occorre elaborare per poter affrontare”.
In tal senso la donna, con la sua empatia, il suo orientamento alla relazione e la sua capacità di autoanalisi diviene l’ago di una immaginaria bilancia degli equilibri familiari e sociali, ma c’è un “però” davvero drammatico.
Secondo quanto mette in evidenza Tina Grassini, counselor ed operatrice dei centri antiviolenza, il 70-80% delle donne convive con un senso di colpa, legato a diversi aspetti e ragioni, instillato da un processo educativo figlio di una cult, una maschilista, spesso sottile, sotterranea, mascherata.
“A queste donne viene chiesto di essere forti, dinamiche, risolutive. Non sembrerebbe esserci spazio per la legittima fragilità, per fermarsi, per essere ammalate. Perché se sei ammalata non sei più sufficientemente forte, adeguata, capace e quindi utile. Se poi ti viene attribuita la responsabilità di aver provocato la malattia di tuo figlio (quel figlio che in realtà ogni donna vorrebbe proteggere e salvare), perché sei tu la portatrice della mutazione genetica, allora sei anche colpevole!”
L’auspicio, dunque, è che questi giorni trasversalmente così difficili, legati a questa infezione virale, possano creare nuove consapevolezze condivise ed avvicinare ogni individuo alle vite dei cosiddetti “altri”.
Una consapevolezza che possa tradursi, concretamente, in una serie di iniziative di solidarietà e di sostegno affinché le istituzioni si facciano portatrici di una presa in carico globale dei malati rari e delle loro famiglie.
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