Cultura

Borgo Morrea: i borghi fantasma dal Nord al Sud dell’Italia e viceversa

Antonio Mocciola (storico, scrittore e autore): “Ed oggi questi borghi sono anche mete turistiche. Devono essere gli enti locali a saperne cogliere il valore!” .

A Morrea nell’aquilano lì dove Richard Colt Hoare scrisse : “Il viaggio è stato piacevole, il paesaggio pittoresco e ricco del fogliame lussureggiante di grandi querce. Poche città possono vantare un aspetto eguale a quello di Morrea, la quale da un’altra cima domina un vasto panorama di valli a nord e a sud, bagnate da corsi d’acqua e ricche di paesi, i quali coprono i pendii delle montagne”.

“Il viaggio è conoscenza. I paesi abbandonati sono una fotografia del tempo che fu. Ecco perché è nato il mio libro: “Le Mie Belle Addormentate”. Ho messo insieme 82 borghi fantasma che esistono in Italia.

Napoli, 12 Agosto –“Le ho viste tutte, le mie belle addormentate. Le ho viste spegnersi lentamente, oppure già rassegnate, o anche orgogliose e vive dibattersi come pesci nella rete”. Lo ha dichiarato lo scrittore Antonio Mocciola, autore del libro di successo “Le mie 82 belle addormentate” e dal suo libro parte la narrazione di un territorio meno conosciuto ma molto bello, un vero patrimonio turistico per l’Italia di oggi.

 MORREA E IL FANTASMA MISANTROPO nel Castello! “Morrea è un borgo che ricade nel comune di San Vincenzo Valle Roveto, in provincia de L’Aquila e che si trova sul versante orientale della valle Roveto posto ad un’altitudine di 760 metri sul livello del mare. Il borgo antico confina con la località di Le Rosce – Santa Restituta, con il territorio comunale di Civita d’Antimo e con il borgo di San Vincenzo Superiore. Arrivare a Morrea in un giorno d’Estate non rende l’idea della sua realtà. La piazza ombrosa e irregolare è piena di macchine (ovvero sei).

Un paio di donne su un gradino – ha continuato Mocciola – una chiesa, un negozio di alimentari chiuso. In un angolo dello slargo, una porta scolpita di accesso al centro storico, tutto pedonale.

Troppo strette le vie di quest’antichissimo borgo abruzzese, aggrappato alla roccia, frazione di San Vincenzo Valle Roveto. Sulla cima incombe un castello. Morrea non è un rudere ma borgo disabitato. Ebbene, Morrea potrebbe sembrare un borgo piccolo ma vivo, diciamo vivibondo. Una pacata signora di mezz’età, spuntata da chissà dove, toglie i veli a quel senso di precarietà che avvolge il tutto. E viene fuori che nel castello, appartenuto ai Piccolomini ma gestito da decenni dalla Curia, è nata proprio lei, la signora Patrizia. Che sua madre, Donna Rosa, pagava il fitto in natura, con i proventi dei campi che coltivava, spezzandosi ogni giorno la schiena. Che nel Castello c’era un fantasma, quieto con le donne ma assai ostile con gli uomini. E quando qualche rappresentante del “sesso forte” entrava in casa, geloso, provocava scompigli.

Porte che si chiudevano da sole, e fughe dalle finestre per chi rimaneva intrappolato. E poi, in un paese spopolato dalla fame, arrivò la nevicata del ’56, eternata da Franco Califano nell’omonima canzone affidata a Mia Martini. A Morrea fu decisiva. E’ facile convincere poche famiglie, tutte dipendenti dai campi ormai devastati dalla neve, a far fagotto e andare via. Tutte. Compresa quella di Patrizia. Destinazione Roma. Dal cancello chiuso sul cortile del Castello s’intravedono gli affreschi, e le imposte dei piani superiori, ormai irraggiungibili per i pavimenti di legno marciti. L’unico negozio, quello in piazza, un emporio come quelli di un tempo, ha chiuso due anni fa per la morte della titolare, e allora d’Estate, quando arrivano i nostalgici proprietari a togliere le ragnatele dalle case e godere dell’aria pura, bisogna attendere l’ambulante che affronta le curve da mal di mare che separano Morrea dalla statale e viene, un paio di volte a settimana, a soddisfare le minime esigenze di vita.

Perché in questa frazione bella e decrepita d’inverno non c’è nessuno e d’Estate non c’è niente. Bisogna solo decidere se sia più spettrale un paese senza abitanti, o un paese con qualche cristiano e niente da fare, niente da comprare, niente di niente. Però nelle sere di luglio, nel silenzio assoluto, questi piccoli eroi dall’accento ormai romano si ritrovano insieme, quasi furtivamente, a riscoprire il suono delle loro voci, annegate, durante l’anno, dal chiasso isterico della Capitale.

Da qualche finestra del castello, il fantasma misantropo forse li osserva con rimpianto. Ombra tra le ombre. Poi vorrei ricordare che Richard Colt Hoare scrisse di Morrea : Il viaggio è stato piacevole, il paesaggio pittoresco e ricco del fogliame lussureggiante di grandi querce. Poche città possono vantare un aspetto eguale a quello di Morrea, la quale da un’altra cima domina un vasto panorama di valli a nord e a sud, bagnate da corsi d’acqua e ricche di paesi, i quali coprono i pendii delle montagne”.

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