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Cultura

Ambiente artistico-religioso con cenni alle artiste femminili e ai Giudizi Universali in Italia e Romania

Napoli, 12 Aprile – L’Ambiente inteso come insieme di natura e cultura comprende anche quello artistico e religioso. Nel mio saggio “Canale di Pace”, scritto durante la pandemia covid19 e in corso di stampa, accenno anche all’ambiente artistico per delineare l’evoluzione del cittadino dal precedente suddito: dapprima schiavo, poi- con il Medievo- servo della gleba ed infine abitante del borgo o borghese attorno ai castelli dei nobili. Dai nobili e dai borghesi ebbero origine i cittadini, che in gran parte erano i figli delle arti liberali: notai, avvocati, ingegneri, professori, commercianti, artigiani. Questi avevano frequentato le scuole e si elevarono dal popolo, generalmente analfabeta. Con il Rinascimento, l’evoluzione verso il cittadino, ha avuto un notevole impulso perché è stato posto al centro l’uomo e la rinascita dell’individualità, oscurata da culture religiose e stataliste prima del XIV sec.. Ciò promosse l’artista del Rinascimento, che ebbe come baricentro ambientale Firenze con la Signoria dei madonnina

mulinoMedici, di cui Lorenzo fu detto  “Magnifico” perché esemplare e grande mecenate di artisti. Il mecenatismo costituì un elemento caratteristico delle nuove corti del 1400: con la promozione delle arti e il sostegno anche economico agli artisti, i signori intendevano esaltare la propria dinastia e dare lustro al proprio governo. La frase pronunciata per Michelangelo, dal Duca degli Sforza di Milano, è emblematica: ”Michelangelo lavora per me che la tua opera artistica crescerà con la mia dinastia”. In effetti l’”Ultima Cena” di Michelangelo a Milano è un’opera che attira visitatori sia laici che religiosi da ogni dove. Nel 1500 a Padova, Leonardo dissezionava i cadaveri come pioniere della Fisiologia Umana, mentre tutte le lezioni venivano sospese per rispetto sacrale. Ancora oggi nei musei vaticani, sotto la Cattedrale di San Pietro, è proibito fotografare scheletri umani per rispetto della sacralità dell’Uomo, fratello di Cristo e figlio di Dio. L’Ambiente religioso in tutti gli ambienti planetari è stato sempre incubatore di artisti e di arte, tutti i templi e chiese sono ricche di oggetti sacri ed opere pittoriche e scultore artistiche di valore. I ministro di culto del cristianesimo, con la variante ortodossa dell’Europa dell’Est, apprezzano molto l’arte come il colto Theodor Damian, che dirige, tra l’altro, a New York, la rivista romena ”Lumina lina” (Luce sottile).

Nell’ambiente culturale del Rinascimento vissero ed operarono grandi artisti italiani e stranieri. In Italia erano figli e artefici del Rinascimento: Alberti, Bellini, Botticelli, Brunelleschi, Caravaggio, Donatello, Giotto, Leonardo, Mantegna, Masaccio, Michelangelo, Pier della Francesca, Raffaello, Tiziano, ecc.. In Romania si ricorda, tra i tanti artisti, un nipote del Rinascimento, Nicolae Grigorescu (G.) che immortalò la sua arte anche nei monasteri della Bucovina fatti edificare pittoricopittorico2nel 1400 da Stefan III il Grande o in romeno Stefan Cel Mare. In molti dei dipinti dei monasteri della Bucovina sembra di scorgere il messaggio di Giotto, ben espresso nella Cappella degli Scrovegni di Padiva: un’arte rivolta soprattutto al popolo ignorante, che poteva leggere guardando le scene semplicemente rappresentate. La sub regione romena della Bucovina, dove sorgono 8 eccezionali chiese di epoca bizantina, conosciute soprattutto per gli affreschi che abbelliscono i muri sia interni che esterni. I monasteri, edificati negli anni del declino dell’impero bizantino, alcuni anche dopo la sua caduta definitiva, sono caratterizzati ognuno da un colore dominante, e dalle storie bibliche rappresentate. Gli affreschi, che narrano storie di santi e profeti, episodi della vita di Gesù, della creazione dell’uomo e del suo destino dopo la morte, erano un mezzo per insegnare ai contadini analfabeti della Bucovina quanto scritto sulla Bibbia.

Per molti, il monastero più degno di essere visitato è quello di Voronet, che fu costruito, pare, in soli tre mesi e tre settimane, nel 1488, per commemorare la vittoria nella battaglia di Vaslui, contro i Turchi. L’espansionismo ottomano fu contrastato dalle crociate papali, ma anche autonomamente dai voivoida dei tre principati romeni di Moldavia, Valacchia e Transilvania. In fresa1fresa2Moldavia vi erano, nel XV sec., il re Stefano cel Mare o il Grande, mentre in Valacchia regnava, da voivoida o principe, Vlad III, detto Tepes o Dracul da cui Dracula il Vampiro per antonomasia, e infine in Transilvania Mattia Corvino, nobile cattolico ed ungherese ch imprigionò Vlad III per mire di potere sulla vicina Valacchia. Fatto sta che il nobile Bassarab sconfisse con un tradimento Vlad III in battaglia e il prigioniero non fu mai trovato, tranne lo stemma nobiliare del drago in una tomba a Napoli nella chiesa di Santa Maria la Nova. Su ciò ho già scritto alcuni articoli e su vari media. Oltre a molti temi ricorrenti nell’arte cristiana ortodossa – una suora li definì “le sacre scritture a colori” – una delle pareti presenta affreschi raffiguranti l’assedio di Costantinopoli.

Il monastero Humor, costruito nel 1530, strutturalmente abbastanza piccolo, è in un miglior stato di conservazione rispetto agli altri, con l’eccezione di quello di Voronet. Gli affreschi che lo adornano rappresentano soggetti comuni ad altri monasteri, come il Giudizio Universale e l’assedio di Costantinopoli. Spicca però una raffigurazione del diavolo, ritratto in una versione femminile. Il monastero di Arbore fu costruito nel 1503 dal nobile Luca Arbore, da cui prese il nome. La chiesa, dedicata a San bubo1bubo2Giovanni Battista, fu la prima, tra le Chiese della Moldavia, ad essere inserita nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco. Dal 1993, tutte le Chiese dipinte della Moldavia sono Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Gli affreschi esterni furono realizzati, dopo circa quarant’anni dalla costruzione, da uno dei più famosi pittori rumeni del 16° secolo, Dragos Coman. Il monastero di Probota, costruito nel 1530, fu il primo in Moldavia ad avere affreschi esterni, oggi purtroppo sbiaditi; quelli interni sono invece ben conservati. La chiesa è stata in parte restaurata, in passato, in diversi momenti. Il monastero di Suceava, costruito tra il 1514 e il 1522, era originariamente la chiesa metropolitana della Moldavia. Ora è la sede dell’arcivescovo di Suceava e Radauti. Il monastero è dedicato a San Giovanni Nuovo di Suceava, un monaco che predicò la sua fede durante l’occupazione turca, e fu successivamente martirizzato.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente del 476 d. C. si andarono formando intorno ai castelli e fortezze medievali i borghi, abitati dai borghesi, alcuni vivevano delle arti liberali (medici, notai, ingegneri, artigiani, commercianti, ecc.). Pian piano, soprattutto in cima a delle colline, per motivi di sicurezza, si formaroni i Comuni con una certa autonomia dall’imperatore di turno come Federico II, ecc.. La Governance comunale mutò lentamente in Signorie. Queste, come in precedenza i Comuni, erano, più o meno servili al papato (Guelfi) o all’imperatore (Gghibellini).  Roma Caput Mundi, invece, assicurava dentro i vasti confini imperiali un’unica amministrazione della res publica e una buona sicurezza per il buon controllo territoriale. Gli schiavi erano in gran parte prigionieri di guerra, mentre nel Medievo erano i servi della gleba, l’ultimo ceto sociale dopo i nobili vassalli, valvassini a valvassori. Tra il XIV e il XV sec., i Comuni medievali si trasformarono in Signorie, forme di governo capaci di rispondere all’esigenza di governi più stabili e più forti. In Italia prevalsero cinque Stati di grande importanza: Firenze (che formalmente mantenne gli ordinamenti repubblicani e comunali), il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia (governata da una oligarchia mercantile), lo Stato della Chiesa (con Roma sede della Curia papale) e il regno di Napoli a Sud: governato dai Borboni, nobili spagnoli. A Firenze, nel 1434, il potere si concentrò nelle mani della famiglia Medici. Cosimo dei Medici, detto il Vecchio, ricchissimo banchiere e commerciante, divenne, di fatto, il padrone incontrastato della città. Anche negli altri piccoli Stati italiani, come il Ducato di Savoia, la Repubblica di Genova, il Ducato di Urbino, le Signorie di Mantova, Ferrara, Modena e Reggio, le sorti si legarono ai nomi di alcune grandi famiglie. In realtà si ripeteva, sia pure modificato ed adattato al nuovo ambiente economico e sociale, aspetti dell’antica Roma con la classe dirigente dei Consoli, distinti in populares e optimates o aristocratici. In particolare nell’ultimo sec. dell’antica Roma repubblicana, anche il popolo romano si spaccò tra due fazioni: populares e optimates. Studiando l’ambiente sociale e politico attuale dell’Europa e non solo, sembra quasi di scorgere, tra le ceneri storiche, ancora l’ambiente sociale e politico di allora. I circa 200 stati attuali nel mondo sono governati da  Monarchie costituzionali (come la Gran Bretagna) e soprattutto da Repubbliche parlamentari (come l’Italia e la Germania) e presidenziali come gli Usa, la Francia e similmente alla Francia anche la Romania. In tutte queste forme di governo della res publica vi sono i partiti di centrosinistra che si rifanno, in gran parte, ai Populares e quelli di centrodestra agli Optimates. Il Rinascimento, iniziato nel XV sec. e durato oltre 2 secoli, fu un periodo artistico, letterario, scientifico e filosofico di grande sviluppo del cittadino con i suoi diritti universali. Il termine Rinascimento  è del 1800, ma fa riferimento al concetto, già espresso dal trattatista del 1500 Giorgio Vasari, di “rinascita delle arti”, rifiorite dopo la decadenza culturale del Medioevo. Il Rinascimento esordì nel 1401 (anno del concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze) e si concluse nel 1595 (quando il pittore Caravaggio si trasferì a Roma). È diviso in primo Rinascimento (ossia il Quattrocento) e secondo Rinascimento (che coincide con il Cinquecento), chiamato anche Rinascimento maturo. Sulle ceneri plurimillenarie di Roma d’Occidente e d’Oriente nasce l’ambiente artistico, letterario ed ingegneristico del Rinascimento. Quasi a dimostrazione di ciò sta la ricerca dell’Uomo perfetto. Alberti e Piero della Francesca affrontarono anche la delicata questione delle proporzioni. Durante l’età classica, gli artisti avevano applicato alla scultura e all’architettura proporzioni che prevedevano la scelta di precisi rapporti matematici. Essi tentarono di riproporle, allo scopo di ricreare l’immagine dell’uomo perfetto e di costruire edifici armoniosi. Il modello dei pittori e degli scultori rinascimentali fu, in particolare, il cosiddetto “uomo vitruviano”. Vitruvio, architetto romano del I secolo a.C., nel suo trattato De Architettura aveva infatti affermato che l’uomo perfetto può essere contenuto, in piedi e con le braccia aperte, contemporaneamente dentro un cerchio ed un quadrato. Nel 1490, il pittore Leonardo da Vinci ne propose una famosissima interpretazione grafica. Nell’ambiente artistico di Roma e  della Cappella Sistina è conservato il tesoro artistico del Giudizio Universale, uno degli affreschi più famosi del mondo, realizzato da Michelangelo Buonarroti (M.) tra il 1535 e il 1541. L’opera è stata commissionata a M. dal papa Clemente VII e si trova nella parete dietro l’altare della Cappella Sistina. Considerata una delle più grandi opere d’arte di tutta la produzione artistica Occidentale, il Giudizio Universale di M. rappresenta l’ultima venuta di Cristo per inaugurare il regno dei cieli. Se davanti al Giudizio Universale rimaniamo abbagliati dallo splendore e dallo spavento, ammirando da un lato i corpi glorificati e dall’altro quelli sottoposti a eterna condanna, comprendiamo anche che l’intera visione è profondamente pervasa da un’unica luce e da un’unica logica artistica: la luce e la logica della fede che la Chiesa proclama confessando: Credo in un solo Dio… creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili (dall’ Omelia pronunciata dal papa polacco Giovanni Paolo II l’8 aprile del 1994). Lo stile dell’opera fotografa perfettamente lo stile dell’antropocentrismo proprio del Rinascimento: il Giudizio universale segna la fine di un’epoca e l’adesione totale, anche a livello artistico, al rivoluzionario Rinascimento, figlio dell’Umanesimo precedente. Cosa ancora più rivoluzionaria fu anche la Chiesa a dare spazio alle nuove idee promosse dal mecenate Lorenzo il Magnifico. Questi credeva nella centralità dell’Uomo, artefice del proprio ambiente e non di altri. La chiesa del Rinascimento se da una parte frenava le nuove idee della scienza copernicana e galileana con il sistema geocentrico, dall’altra promuoveva l’antropocentrismo perché l’uomo è stato plasmato dall’argilla col soffio divino. La grandiosa composizione del Giudizio Universale, realizzata da M. tra il 1536 e il 1541, si incentra intorno alla figura dominante del Cristo, colto nell’attimo che precede quello in cui verrà emesso il verdetto del Giudizio (Matteo 25.31-46). Il suo gesto, imperioso e pacato, sembra al tempo stesso richiamare l’attenzione e placare l’agitazione circostante: esso dà l’avvio ad un ampio e lento movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le figure. Ne ludorimangono escluse le due lunette in alto con gruppi di angeli recanti in volo i simboli della Passione (a sinistra la Croce, i dadi e la corona di spine; a destra la colonna della Flagellazione, la scala e l’asta con la spugna imbevuta di aceto). Accanto a Cristo è la Vergine, che volge il capo in un gesto di rassegnazione: ella infatti non può più intervenire nella decisione, ma solo attendere l’esito del Giudizio. Anche i Santi e gli Eletti, disposti intorno alle due figure della Madre e del Figlio, attendono con ansia di conoscere il verdetto. Alcuni di essi sono facilmente riconoscibili: S. Pietro con le due chiavi, S. Lorenzo con la graticola, S. Bartolomeo con la propria pelle in cui si suole ravvisare l’autoritratto di M., S. Caterina d’Alessandria con la ruota dentata, S. Sebastiano inginocchiato con le frecce in mano. Nella fascia sottostante, al centro gli angeli dell’Apocalisse risvegliano i morti al suono delle lunghe trombe; a sinistra i risorti in ascesa verso il cielo recuperano i corpi (Resurrezione della carne), a destra angeli e demoni fanno a gara per precipitare i dannati nell’inferno. Infine in basso Caronte a colpi di remo insieme ai demoni fa scendere i dannati dalla sua imbarcazione per condurli davanti al giudice infernale Minosse, con il corpo avvolto dalle spire del serpente. E’ evidente in questa parte il riferimento all’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Assieme agli elogi, il Giudizio suscitò tra i contemporanei violente reazioni, come ad esempio quella del Maestro delle Cerimonie Biagio da Cesena, il quale disse che “era cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che si disonestamente mostrano le loro vergogne e che non era opera da Cappella del Papa ma da stufe e osterie” (G. Vasari, Le Vite). Le polemiche, continuate nel corso degli anni, portarono nel 1564 alla decisione da parte della Congregazione del Concilio di Trento di far coprire alcune delle figure del Giudizio ritenute “oscene”. L’incarico di dipingere i panneggi di copertura, le cosiddette “braghe”, fu data a Daniele da Volterra, da allora noto come il “braghettone”. Le “braghe” di Daniele furono solo le prime, altre infatti se ne aggiunsero nei secoli successivi. In pieno Rinascimento c’è, M., scultore, pittore, architetto e poeta, nato in Toscana il 6 marzo 1475 e morto a Roma il 18 febbraio 1564. L’Ambiente rinascimentale del sommo artista M.  e la Pietà vaticana. M. già in vita riconosciuto grande artista dai suoi contemporanei è uno dei protagonisti del Rinascimento italiano e non solo. Personalità tanto geniale quanto irrequieta, il suo nome è legato ad alcune delle più maestose opere dell’arte occidentale, fra cui si evidenziano il David, il Mosè, la Pietà del Vaticano, la Cupola di San Pietro, e il ciclo di affreschi nella Cappella Sistina. I Buonarroti di Firenze facevano parte del patriziato fiorentino. Nessuno in famiglia aveva fino ad allora intrapreso la carriera artistica, nell’arte meccanica (cioè un mestiere che richiedeva sforzo fisico) poco consona al loro status, ricoprendo piuttosto incarichi nei pubblici uffici: due secoli prima un antenato, Simone di Buonarrota, era nel Consiglio dei Cento Savi, e aveva ricoperto le maggiori cariche pubbliche. Possedevano uno scudo d’arme e patronavano una cappella nella basilica di Santa Croce. All’epoca della nascita di M. la famiglia attraversava però un momento di penuria economica. Il carattere innato e autodidatta dell’artista M. derivava anche dalla una carriera considerata “artigianale”,una volta divenuto famoso, egli cercò di nascondere gli inizi della sua attività in bottega parlandone non come di un normale apprendistato professionale, ma come se si fosse trattato di una chiamata inarrestabile dello spirito, una vocazione, contro la quale il padre avrebbe inutilmente tentato di resistere. M. cominciò a frequentare il giardino di San Marco, una sorta di accademia artistica sostenuta economicamente da Lorenzo il Magnifico in una sua proprietà nel quartiere mediceo di Firenze. Qui si trovava una parte delle vaste collezioni di sculture antiche dei Medici, che i giovani talenti, ansiosi di migliorare nell’arte dello scolpire, potevano copiare, sorvegliati e aiutati da un vecchio scultore, allievo di Donatello. Quando M. completò la “Pietà vaticana”, una delle sculture più belle della storia dell’arte, aveva 24 anni. Lui che era uno scultore molto esigente, impiegò ben nove mesi per scegliere il blocco di marmo e trasportarlo dalle cave di Carrara a Roma E’ l’unica opera che abbia mai firmato e ci sono alcune cose di essa che mi hanno sempre incuriosito. All’inizio M. venne molto criticato per l’aspetto giovanile del volto della Vergine, che sembra un’adolescente. Invece fu una sua scelta consapevole, di natura teologica. La Vergine incorrotta, l’Immacolata, è il simbolo di una giovinezza che non può appassire con la morte: M. si rifà ai versi del Paradiso di Dante: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”. La statua della Pietà ha un’altra particolarità: il Cristo ha un dente in più, un quinto incisivo. Un dente che è soprannominato “il dente del peccato”. Il Cristo della Pietà, così come il volto della Madonna, ci fanno pensare alla giovinezza, alla Resurrezione e al perché della Pasqua: Gesù con la sua morte, ha preso su di sé tutti i peccati del mondo, per donarci la giovinezza interiore della Resurrezione. Nei castelli della Romania il Rinascimento è rappresentato soprattutto dall’Architettura dei manieri. Il più grande e il castello di Hunedoara, dei nobili ungheresi e cattolici, Corvino, del XV sec.. Anche il famoso e visitato castello di Bran, mai abitato dal noto principe Vlad III, detto il Vampiro (leggere il mio libro”Vampiri e Romania”), ha alcuni elementi rinascimentali, che però si trovano museati meglio al Museo del Castello Reale di Bucarest. Questo eretto in stile neoclassico tra il 1927 e il 1937, il Palazzo reale ospita oggigiorno il Museo Nazionale d’arte che custodisce opere firmate dei più importanti artisti romeni e stranieri: Constantin Brâncuși, Theodor Aman, Nicolae Grigorescu, Ioan Andreescu, Rembrandt, Rubens, El Greco, Tiziano, Antonello da Messina, Tintoretto ecc. La Bucovina, regione della Moldavia romena, è nota ai più per i suoi monasteri affrescati nei sec. XV e XVI sotto i principi moldavi Stefano III il Grande e suo figlio Petru Rares. Tra i monasteri primeggia quello di Sucevita, per l’importante affresco “la Scala delle Virtù” e per le sue imponenti mura di cinta. Quello di Suceavita è il più grande e nello stesso tempo il miglior conservato monastero della Bucovina. Esso è ammirato per la suggestiva bellezza dei suoi affreschi esterni e per le sue mura di cinta, simili a quelle di una fortezza. La sua costruzione iniziò nel 1581 per la volontà dei tre fratelli Movila, nobili del tempo (due sono diventati Principi e il terzo metropolita della Moldavia). Nel 1596 la chiesa fu affrescata dai pittori Ioan e Sofronie ma la costruzione della chiesa proseguì fino nel 1601. Tra gli affreschi spicca “la Scala delle Virtù”. In una delle nicchie della chiesa si trova una statua raffigurante una donna, un’eccezione al dogma ortodosso, ostile alle immagini “tridimensionali” dei santi. Ma più famoso è il monastero di Voronet del 1488, diventato celebre per due caratteristiche della sua pittura: l’azzurro, realizzato con una formula ancora sconosciuta, chiamato “azzurro di Voronet” e la magnifica scena raffigurante “Il Giudizio Universale” sviluppata su tutta la parete Ovest. Pure interessante è il monastero di Agapia del 1641 con la chiesa di legno del 1300, dipinta all’interno nella seconda metà del 1800 dal pittore romeno, Nicolae Grigorescu (1838-1907), e il monastero di Neamt, uno dei più antichi della Romania. Non è da sottovalutare anche il monastero di Neamt, il più grande ed il più antico della Moldavia. L’attuale chiesa è costruita da Stefan il Grande alla fine del 1400, ma il complesso monastico risale al 1300. Maestosa è la fortezza del 1500 che appare a breve distanza come interessante è il capoluogo della Bucovina, Suceava, antica capitale della Moldavia del Santo,  Stefan il Grande. Nel 2004, con l‘Avv. italiano Alessio Spina e la guida locale (nativa di Focsani, Ing. minerario GheorgheVoicu), visitai la Bucovina ed in particolare stimai l’arte di Nicolae Grigorescu, pittore romeno da molti considerato il fondatore della pittura romena moderna, assieme a Ioan Andreescu e Stefan Luchian. Grigorescu comincia col fare pratica dipingendo icone nello studio del pittore ceco Anton Chladek, dopo il 1850 comincia a dipingere in proprio le icone, oppure ad eseguire degli affreschi nelle chiese di Cădarușari, Zamfira, Agapia. Nel 1861 riesce a ottenere una borsa di studio per Parigi, dove frequenta l’Accademia delle BelleArti con Renoir. Frequenta spesso i musei del Louvre e del Luxenbourg facendo copie dei maestri Rembrandt, Rubens e Salvator Rosa. Nel 1864 va in Romania per un breve periodo, viaggiando per raccogliere il materiale di cui aveva bisogno per eseguire dei dipinti d’ispirazione rumena in vista della Mostra Internazionale del 1867, che avrà luogo a Parigi e successivamente, abbandona gli studi classici e aderisce alla scuola che esalta la filosofia dell'”en plein air”, ovvero la pittura all’aria aperta. Comincia a fare allora i suoi primi passi verso la pittura impressionista. Negli anni 1873 – 1874 viaggia in Italia a Roma, Napoli, Pompei, in Grecia e a Vienna. Espone spesso in Francia e in Romania – all’Intim Club, più volte all’Ateneo Romeno inaugurato da poco, alle mostre organizzate dalla società “Ileana”. Come protesta contro “l’arte ufficiale”, per un’arte non sottomessa al potere, partecipa nel 1896 alla “Mostra degli artisti indipendenti”. Tra le sue opere: Car cu boi, Maternità, Donna anziana di Brolles, Uomo riflessivo,  Am Siretufer, Attacco a Smirdan, Contadina di Muscel, Contadino con Pitcher, Mendicante brettone, Primavera, Pescatrice di Granville Agricoltore francese con il sacco sulle spalle, Alpinisti, Gli amanti della pittura, Italiani sulla collina del Pincio (Roma), Paesaggio, Fiera, Fiera di Sinaia, Ebreo con oca, Ritratto di donna Alexianu, Maternità, Ritratto del Dr. D. Grecescu, Strada difficile, Nudo, Autoritratto, ecc.. Sia tra gli artisti italiani del Rinascimento che tra quelli romeni, mancano le donne. Ma siamo in un ambiente del passato e al genere femminile dall’altro genere complementare era concesso poco oltre al ruolo di angelo del focolare, sposa, madre e sorella. Ancora prima del Rinascimento, andando nell’ambiente di Roma antica, si segnala la presenza di una pittrice,  Iaia o Marzia,  vissuta tra il secondo e primo sec. a. C. e nativa d’ambienti tra Grecia e Turchia vicina alla futura Castantinopoli. La donna si distinse come pittrice e per le sua incisioni in avorio e il suo successo fu tale da spingerla a trasferirsi a Roma, dove riuscì a mantenersi grazie alla sua arte senza sposarsi mai. Attiva nell’ultimo periodo della Repubblica, Iaia era considerata un’artista più rapida e talentuosa dei suoi corrispettivi maschili Sopoli e Dionisio, riuscendo così a farsi pagare salari più elevati dei suoi colleghi e rivali. Iaia è una delle 5 artiste donne ricordata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia insieme a Aristarete, Olimpia, Irene, Timarete. Iaia, con il nome di Marzia, è una delle tre artiste ricordata da Boccaccio nel De mulieribus claris. Credo che tra le donne romane celebri sia da ricordare Aconia Fabia Paulina del IV sec. d.C.. Paulina è stata una nobildonna romana e un’importante esponente dell’ambiente culturale e religioso del Paganesimo in un’epoca in cui l’Impero di Roma si stava convertendo al Cristianesimo con l’impulso di Costantino che si alleò ai cristiani per sconfiggere il rivale Massenzio. Figlia di esponenti dell’aristocrazia consolare romana, Paulina sposò nel 344 un altro nobile e importante funzionario imperiale e membro di diversi collegi pagani. Paolina stessa venne iniziata ai misteri eleusini, lernici di Dionisio e Demetria,  oltre che al culto di Cerere, Ecate, di cui era ierofante, Magna Mater, come tauroboliata (divinità col sacrificio del toro, praticato alla espugnata Sarmizegetusa Regia da Traiano, che vfaceva bere sangue di toro ai soldati prima della battaglia, mentre i Daci sacrificavano buttando su pali di legno appuntiti giovanissimi) e di Isis (dea egizia della fertilità, maternità e della magia).

Di donne di Sarmizergetusa Regia (alla corte di re Decebalo o del precedente Burebista più informato della potenza di Roma e preferì la Pax romana alla guerra) non ne abbiamo da ricordare perché quel tipo di civiltà era rimasta isolata tra i monti e non si era evoluta con scritti e libri che potrebbero rivelarci qualcosa in più del mito e della tradizione orale. Le statue di nobildonne dacoromane di Sarmizegetusa Ulpia Traiana, Provincia Romana della Dacia, posta a 50 km più a valle e ad ovest della capitale di re Decebalo. Non poche sono le statue in stile capuano e altri reperti storico artistici conservati al modernissimo e digitalizzato museo della civiltà dacoromana di Deva, ma anche nel più piccolo museo vicino la nuova capitale dei Daci assoggettati a Roma, da me visitato con studenti italiani e romeni. Lo stile capuano presumo era riferito agli abiti cici3delle nobildonne che frequentavano la nuova capitale provinciale romana, a pochi km da Hatec, moderna cittadina romena con un castello, quasi abbandonato, di nobili italiani, poi passato stranamente ad austriaci.Nell’ambiente di Roma, invece, le donne erano già in posizioni di governante rilevanti nonché in ambienti religiosi, soprattutto durante il politeismo. Colta è la statua voluta da Pauluna e dedicata alla sacerdotessa del fuoco sacro o Vestale: «Fabia Aconia Paulina erige questa statua di Celia Concordia, gran sacerdotessa delle Vestali, non solo a testimonianza delle sue virtù, della sua castità e della sua devozione agli dèi, ma anche come segno di ringraziamento per l’onore concesso dalle Vestali a suo marito Pretestato, al quale hanno dedicato una statua nel loro collegio». Per l’ambiente romeno, invece, non del periodo dei Daci, si segnala, Magdalena Radulescu, nata nella bella città della mia vicepreside a Deva (Lavinia Apozan) Ramnicu Valcea nel 1902 e residente in Francia dopo il matrimonio con il pittore italiano Massimo Campigli. Radulescu fu una pittrice moderna e originale il cui lavoro è ispirato ai miti e alle leggende rumene Durante i suoi oltre cinquant’anni di attività, ha prodotto un vasto lavoro, sparsi in numerosi musei e collezioni private in Romania, Francia, Italia e Austria, Stati Uniti d’America e Tahiti. Fece il suo debutto nel 1924, al Salone Ufficiale di Bucarest. Come molti dei suoi contemporanei e senza dubbio influenzato dagli studi che aveva intrapreso, all’età di 18 anni, a Monaco con i proff. Augerer, poi a Parigi al Grande Cottage dal tetto di paglia, con il ritrattista Boutet de Monvelle e R. F. Xavier Prinet, l’artista ha continuato la rappresentazione del mondo delle apparenze. Ma più che la tecnica del disegno realistico e la scienza della ritrattistica, acquisita in Germania, era l’ambiente artistico della cici1cici2Grande Chaumière, dove si sentiva a suo agio, il che le dava l’impulso necessario e il coraggio di muoversi verso una nuova dimensione, più moderna. Sebbene la natura sia sempre stata la fonte dell’arte e della motivazione per tutto il creato, Magdalena Radulescu ha ridisegnato il mondo, che ha assunto l’aspetto di un carnevale di maschere. In questa visione, gli zingari si trasformarono in sagome orientali, ragazze contadine e giovani principesse romene, scene quotidiane di leggende, matrimoni carnevaleschi e illustrazioni per la storia di Nastratin Hogea (sorta di romeno Till Eulenspiegel) in scene favolose. Tele come i Fuorilegge, il Ritorno del Principe o Metti da soli, perle del racconto…evocano nei nostri occhi il significato dei miti e delle leggende popolari rispetto ai loro equivalenti nella storia e nella leggenda. I soggetti dei suoi dipinti, che evolveranno dal punto di vista della plastica verso una schiera di sintesi e spontaneità creativa, saranno ridotti a poco a poco. Si accontenterà di rappresentare ballerini di danza classica e folcloristica, cavalieri e cavalcate, scene di carnevale, circhi con acrobati e musicisti, clown, principesse e principi affascinanti … Tuttavia, parallelamente a questa selezione di temi e soggetti, l’evoluzione del linguaggio pittorico si concretizza anche in uno stile specifico. Il mondo percepibile che è apparso nelle sue prime opere, è trasposto in un ambiente favoloso e fiabesco. Oltre alle composizioni con temi popolari, Magdalena Radulescu, ha dipinto molti ritratti di scrittori (Victor Eftimiu, Zaharia Stancu, Miron Radu Paraschivescu), pittori (Margareta Sterian), comici (Ion Fintesteanu, Tantzi Cocea) o altre personalità Mondo artistico e letterario romeno (Ion Sava, Octavian Neamu, Marioara Avramescu, Ion Biberi) ecc. Dopo la seconda guerra mondiale, il suo nome cominciò a farsi conoscere prima a Parigi, poi a Nizza, Marsiglia e Londra, dove rappresentò l’arte romena. Jacques Lassaigne ha scritto su questo argomento nel giornale “La Battaille”, commentando la sua mostra alla Creuse Gallery “Magdalena Radulescu viene dalla Romania, dove è una delle creatrici più originali della nuova generazione. Tutte le sue opere sono ispirate al folklore rumeno. preso non come elemento di ricerca storica o decorativa, ma come repertorio di forme architettoniche, non c’è, in queste tele, elementi pittoreschi o aneddotici, ma una sorta di ritorno alle meravigliose armonie essenziali e primitive del gruppo. Le forme di questi costumi rituali o maschere simboliche sono felicemente composte e obbedite al loro profondo ritmo interiore, e penso che Magdalena Radulescu, che è una pittrice della migliore qualità, possa facilmente comporre un balletto sorprendente”. Nei 5 anni trascorsi a Deva, mia sede di servizio scolastico, in Judet Hunedoara, conobbi molti artisti di icone su legno ed anche artisti plastici, alcuni frequentavano l’Associazione degli Scrittori della Judet Hunedoara, diretta dapprima da Valeriu Bargau, e, dopo il 2006, con la sua morte, dalla moglie Mariana Pandaru (nota scrittrice, poetessa di valore e membro dell’Accademia Scrittori di Romania come il marito). L’arte romena, a me sembra, che sia poco nota nell’ambiente mondiale, ma non mancano promotori come potrebbero essere anche queste mie note ambientali. Bibliografia stesso autore:13 libri e 875 articoli, di cui 100 articoli e 4 libri dedicati alla Romania, come „Italia e Romania. Geografia, Analogie regionali e d’ Ecologia umana”, Sapere Edizioni, 2009, libro reperibile al Liceo „Transilvania” di Deva, Biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, Biblioteca Judet Hunedora „Ovid Densusianu” di Deva.

 

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Giuseppe Pace (già prof. Liceo Tecnologico ”Transilvania” di Deva, Romania, sp. Int. le in Ecologia Umana).

 

 

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