Napoli, 31 Maggio – Tanti romagnoli sconvolti dall’alluvione rivendicano la loro tenacia e dichiarano legittimamente che sono abituati a “rimboccarsi le maniche” ma che hanno bisogno di aiuto.
La Regione ha richiesto l’autonomia differenziata. Visitando il suo sito istituzionale, trovo che essa progetta di occuparsi da sola di varie materie tra cui il Governo del Territorio, la Tutela dell’Ambiente e la Gestione delle Infrastrutture, in cambio della possibilità di trattenere parte delle tasse statali versate dai suoi residenti e dalle imprese che hanno la sede legale sul suo territorio.
Se fosse già operativa l’autonomia, l’Emilia Romagna dovrebbe vedersela da sé e probabilmente nell’emergenza non ne avrebbe la forza. Per questo si sono attivate raccolte fondi e si prevedono doverosi stanziamenti nazionali e comunitari. Una ragione in più per ripensare ad una ipotesi di provvedimento che è predatoria da parte delle società più ricche nei confronti di quelle più deboli.
L’autonomia differenziata senz’altro lascia indietro chi già ha di meno ed è più fragile. E la debolezza non è una colpa! Spesso è causa di politiche nazionali e internazionali che hanno favorito la concentrazione delle imprese (o delle sedi legali) in alcuni Stati e in alcune Regioni geopoliticamente favoriti. Regioni che dunque attualmente già beneficiano di un gettito superiore in tasse regionali, oltre alla possibilità di distribuire ai propri cittadini più ricchezza, più lavoro e più servizi.
L’autonomia differenziata, diminuendo le tasse statali in favore di quelle regionali, rafforzerebbe questi squilibri, secondo un recente rapporto della Commissione Europea.
Le cause dell’alluvione
Secondo il prof. Pileri del Politecnico di Milano, la Regione Emilia Romagna è prima in Italia per cementificazione delle aree alluvionali e quarta in Italia per consumo di suolo. E il rischio alluvioni interessa due milioni e mezzo di persone in quella regione. Dunque non solo cambiamento climatico ma anche consumo di suolo e cattiva gestione del territorio.
È bene chiarire che tutti e tre questi fattori sono coinvolti nelle cause del disastro.
Il cambiamento climatico alterna siccità a piogge torrenziali, con frequenza sempre maggiore. Il territorio e gli alvei fluviali spesso non sono manutenuti a sufficienza. Si realizzano nuovi insediamenti che consumano suolo e di conseguenza aumenta il numero di infrastrutture da manutenere. Oneri che la finanza pubblica non sempre è in grado di sopportare, una volta terminati i fondi per le realizzazioni.
Quando si rimpiange la manutenzione degli fiumi effettuata decenni addietro, si dice un fatto vero (manutenzione del territorio) ma insieme bisogna vedere che ai tempi le opere erano molte di meno (per l’avvenuto consumo di suolo), che il suolo agricolo tratteneva le acque molto meglio di quello impermeabilizzato (cementificazione). Inoltre, con la pesante trasformazione del territorio degli ultimi decenni, l’acqua in occasione di eventi piovosi estremi può prendere direzioni spesso non prevedibili e diverse da quelle verificatesi in passato.
Peraltro, anche quando le opere siano state correttamente progettate e realizzate in funzione degli eventi meteorici estremi, nel frattempo proprio l’entità degli eventi presa a riferimento si è modificata (cambiamento climatico). Il paradosso è che, prevedendo un’ulteriore intensificazione delle piogge nei prossimi decenni, non si può porvi rimedio progettando opere idrauliche più grandi. Infatti le opere idrauliche sovradimensionate funzionano male al pari di quelle carenti. Per esempio se i canali vengono allargati oppure aumentati in numero, in previsione delle piene eccezionali, nei periodi di piogge ordinarie il deflusso dell’acqua diventa troppo lento, incapace di trascinare i detriti solidi, con l’effetto di canali che si insabbiano e diventano di nuovo poco capienti. Quindi con il cambiamento climatico per evitare disastri bisognerebbe continuamente riadattare la geometria e la tipologia delle opere di protezione. Questo è ovviamente insostenibile e così crolla l’assunto che si possa perseverare nello sfruttamento del territorio, solo gestendo bene le opere.
Nel caso specifico della Romagna, poi, storicamente sono state bonificate le zone umide trasformando i “laghi interni” in terreni agricoli solcati da canali. Negli ultimi decenni sono stati anche cementificati quei suoli agricoli, trasformandoli in insediamenti abitativi e industriali compresi tra i canali e lunghi chilometri, come riferisce sempre il prof. Pileri. l risultato è stato che, con le piogge intense di maggio, le opere di bonifica non sono state capaci di allontanare le acque in eccesso. E questo era stato previsto dalle carte di rischio idrogeologico regionali, predisposte dagli specialisti i cui pareri erano rimasti inascoltati quando si procedeva a nuove costruzioni.
In conclusione, la fragilità del territorio e dell’ambiente non sono correlate all’antropologia e alla latitudine geografica, sebbene un’onda mediatica costante tenda a rafforzare nell’opinione pubblica questo pregiudizio. La crisi ambientale è un problema globale, di tutta l’umanità, e come tale va affrontato. Se si dorme sugli allori, pensando che non ci riguarderà mai, il problema crescerà a nostra insaputa, a danno di tutti.
Dobbiamo riconoscere che l’attuale modello economico e sociale inganna le stesse persone che lo professano. Infatti induce inquinamento, cambiamento climatico, danno alla salute e alle altre specie viventi, consumo di suolo, danni economici alle imprese colpite dagli eventi atmosferici estremi. Abbiamo finito con il pensare che il modello di “sviluppo” del nostro tempo sia l’unico in grado di produrre benessere, ma in realtà scopriamo gradualmente che il benessere atteso non c’è, mentre potremo percorrere altre vie che non siamo abituati più neanche ad immaginare.
Per un altro modello di benessere economico e sociale occorrono unità di intenti nei cittadini, solidarietà, uscita dai particolarismi e dai mutui pregiudizi territoriali, mentre alla classe politica è richiesta una grande visione per guidare questo cambiamento!
Il drammatico racconto del comico Gene Gnocchi, sfollato dopo l’alluvione:
“Quello che è successo è incredibile. Io ho degli amici di Faenza che hanno perso tutto, hanno perso la casa, l’attività lavorativa e tutte le cose più care che avevano. Non sono in grado nemmeno di parlare. Quando noi diciamo che questa terra non è abituata a chiedere ma a rimboccarsi le maniche è vero, però mai come in questo momento questa terra da sola non ce la può fare. C’è bisogno di tutti, quello che posso dire nella commozione, faccio fatica a parlare, è che attraverso tutti i canali possibili dateci una mano”.
Guido Caridei, ingegnere per l’ambiente e il territorio
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