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IL PUNTO – Clodio e Milone: breve panoramica sugli scontri tra tassisti e conducenti privati

Napoli, 27 Luglio – «Scelleratezze di Clodio»: questo il titolo di una versione di latino che costituì oggetto di una verifica in classe ai tempi del secondo liceo (così era denominato, illo tempore, il quarto anno del classico). L’autore era Marco Tullio Cicerone, intellettuale di una cultura mostruosa e, soprattutto, capostipite di quella che sarebbe divenuta, poi, l’avvocatura moderna.

L’opera da cui era tratto il summenzionato passo è la «Pro Milone», orazione che l’Arpinate avrebbe dovuto pronunziare in Senato nel 52 a.C.: difatti, egli non poteva digerire il fatto che Publio Clodio Pulcro, durante un convito nella casa di Caio Giulio Cesare, si fosse mascherato da donna – precisamente, da suonatrice d’arpa – per trascorrere alcune ore con la consorte di quest’ultimo, tale Pompea, approfittando di un rituale, detto «Bona Dea», nel cui ambito era vietatissimo (in quanto sacrilego) agli uomini avvicinarsi alle sacerdotesse Vestali (preposte al culto della dea Vesta) ed alle matrone (queste ultime erano le donne sposate).

La madre di Cesare riconobbe, però, una voce maschile, dunque Clodio, dopo essersi dato alla fuga, venne identificato e processato; tuttavia, diversamente da quanto auspicato da Cicerone, la cognitio (ossia, il procedimento).

Acerrimo nemico di Clodio – oltre all’oratore di Arpino – era Tito Annio Milone, esponente dell’aristocrazia conservatrice (gli optimates, contrapposti ai populares, cui afferivano, invece, Cesare e lo stesso Clodio): questi, con l’intento di sopprimere il rivale, formò delle bande, che poi si scontrarono in maniera più che accesa con quelle facenti capo al leader popolare, provocando un ingente numero di vittime.

L’assoluzione di Clodio comportò, com’è ovvio, la condanna di Milone, il quale ultimo venne esiliato a Marsiglia.

Anche al giorno d’oggi, purtroppo, è in atto una tenzone tra bande: non mi riferisco alle ben note gang di strada, né tantomeno ai clan della criminalità organizzata, ma a due fazioni che l’uomo medio stenta a riconoscere, da identificarsi, rispettivamente, nei conducenti di autopubblica (taxi) ed in quelli di vetture prenotabili per spostamenti programmati (NCC).

Gli appartenenti alle categorie professionali poc’anzi citate non stanno facendo altro che accusarsi vicendevolmente, asserendo che l’attività di una sia dannosa per l’altra, e viceversa.

L’evento culminante della lotta in parola s’è verificato all’incirca sei giorni fa nella zona antistante un terminal dell’aeroporto di Malpensa “Silvio Berlusconi”: un tassista, accortosi che un autista NCC lo aveva sorpassato (in modo più che regolare, beninteso), ha brandito un bastone e, sceso dall’auto nell’area di parcheggio, ha malmenato il rivale, costringendolo al ricovero ospedaliero.

Un comportamento altrettanto reprensibile è stato assunto dai colleghi del tassista, i quali, lungi dal voler riportare alla ragione il loro omologo, lo avrebbero addirittura spalleggiato.

Sebbene l’autista aggredito abbia deciso di non sporgere alcuna querela nei confronti di chi l’ha malridotto, appare opportuno sottolineare che gli scontri tra categorie, oltre a non giovare affatto a coloro che vi appartengono, macchiano indelebilmente l’immagine del nostro Paese, la cui Costituzione conferisce rilevanza anche all’iniziativa economica privata: i problemi ci sono, e lo sappiamo tutti; ma seguire l’esempio di Clodio e Milone non è certamente risolutivo, dato che tutte le figure professionali sono indispensabili per far crescere l’Italia e mettere in atto i cambiamenti che ciascuno di noi auspica.

Ecco perché è fondamentale conoscere la storia: chi ci ha preceduto ha commesso degli errori, e noi non dobbiamo ripeterli!

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